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ll pianto della Liberia

Sono migliaia uomini, donne e bambini che girano a zonzo a Monrovia, la capitale della Liberia, nazione ubicata tra Sierra Leone,Guinea e Costa d’Avorio, dilaniata da una feroce guerra civile.In varie zone della capitale i ribelli si scontrano periodicamente con le forze governative mercenarie del presidente Charles Taylor causando morti e feriti, ma anche stupri e violenze. I sopravvissuti girano cercando una sistemazione di fortuna, in modo da potersi riparare dal conflitto in atto. I rischi di epidemie e varie forme di malnutrizione sono molto alti, tra il silenzio o i sussurri dei mezzi di comunicazione sociale. Infatti, sono pochi gli occidentali rimasti in una delle aree più a rischio del Pianeta. La Liberia è ricca di legno pregiato come il mogano, il caffè, il caucciù, il cacao, ma anche l’oro e i diamanti (è la seconda nazione produttrice in Africa) fanno sì che il commercio delle armi serva a mantenere uno status quo,che favorisca una ristretta oligarchia sociale con il non rispetto dell’embargo sulle armi. L’analfabetismo si aggira al 65% della popolazione, il commercio sessuale e l’ingiustizia caratterizzano la realtà di gran parte della popolazione. Dov’è la Comunità e le istituzioni internazionali per promuovere il cessate il fuoco,un processo di pace e di sviluppo socioeconomico nazionale? Altrimenti, i rischi possono essere molteplici. Morti dovuti non solo a violenze ed uccisioni, ma anche da malattie, emigrazioni forzate nei Paesi viciniori ed anche, per chi potrà, clandestina in Europa. In questo contesto, serve una azione concertata e decisa a stabilire un processo democratico all’interno della società liberiana. Anche il Papa Giovanni Paolo II invitò, nel corso dell’Angelus di domenica 27 luglio 2003 ,ad avere una maggiore attenzione “alle tragiche notizie che arrivano dalla Liberia… Di fronte alle prove di quelle care popolazioni non possiamo che chiedere a tutti quelli che hanno un’arma nelle mani, di deporla, per ridare spazio al dialogo e all’azione concertata della Comunità internazionale”. Sono passati diversi anni quando, per caso, mi ho incontrato questo missionario genovese P. Mauro Armanino che prima di diventare religioso della S.M.A (Società Missioni Africane) aveva vissuto intensamente la sua vita laicale con varie forme di impegno civile e laicale: catechista, operaio,sindacalista nella FIOMM-CGL, volontario in Africa fino ad approdare alla scelta di diventare missionario. L’Africa, il sud America e di nuovo l’Africa sono stati i campi d’azione missionaria, ma l’ultima esperienza africana è in Liberia. Paese sconvolto da una sanguinosa guerra civile, dove l’intreccio di tornaconti di una stretta elite locale si mescolano con quelli più grandi di gruppi economici occidentali, lì il missionario è un segno di speranza. P. Mauro ci propone la sua testimonianza, di come il Vangelo si porta in un Paese lacerato. Com’è andata la tua esperienza in Liberia? E’ stata ,per così dire, un’esperienza inedita. Quando si parte in missione non si sa fino in fondo cosa si trova. Si può aver letto che ci sono stati dei problemi di guerra civile e di conflitti , sono argomenti descritti sui libri e sulle riviste! Invece ritrovarsi in pieno in una situazione di disgregazione sociale, di dittatura, di terrore,di quotidiana violenza ed addirittura di guerra come il conflitto dell’anno scorso, spiazza chiunque anche un missionario parte senza sapere che trova in definitiva… Questo avviene sempre più spesso , specialmente dove noi siamo presenti come congregazione religiosa(N.d.R. la S.M.A. Società Missione Africane)come in Costa d’Avorio , come in altri Paesi in centro Africa . Sembra che stia diventando una situazione “normale”…. Quali sono stati gli aspetti più salienti di questa missione? Sono stati marcati dalla situazione stessa del Paese… La presenza di una dittatura,non virtuale, ma reale fatta persone,di armi, di abusi, di prevaricazioni e di violenza,specie nei confronti delle persone. Il contesto è diverso rispetto a ciò che avevo finora vissuto come attività missionaria. Secondo le sfide stesse di una situazione ecclesiale di comunità nelle quali erano appena tornate dall’esilio e da campi profughi, quindi, di una reale difficoltà…Quindi, partire dalla distruzione che era stata perpetuata. Quindi, muoversi dalla stessa vocazione missionaria e domandarsi che cosa significa essere missionari in una situazione del genere considerando che la congregazione a cui appartengo è all’origine della Chiesa cattolica in Liberia circa un secolo fa. La nostra storia di missionari si identifica nel cammino della Chiesa in questo Paese. Questa è stata la prima nazione, dove la S.M.A. è stata coinvolta in una guerra civile e questo ha trovato un po’ tutti impreparati. Che cosa significa essere missionari in un contesto di guerra civile ? E’ un’altra bella domanda… La prima reazione magari è quella di scappare ,poi, di rimanere. Ho conosciuto alcuni confratelli che sono riamasti anche nel corso della precedente guerra civile del 1990 e, in seguito, sono ritornati nello stesso Paese caparbiamente , ricostruendo ancora da saccheggi con la stessa passione e la stessa volontà di servire il popolo . Talvolta, non basta solo stare, ma è importante piuttosto rimanerci con dignità e stile particolare, meno potente e più prossimo alle persone. Sono stato nei campi profughi nel corso della crisi,è stata un’esperienza unica per l’intensità e per la sofferenza che si incontrano e dalla sfida che si incontrano di trovarsi con cinquanta mila persone in pochi chilometri quadrati in condizioni subumane e parlare di speranza e celebrare la speranza ! In queste condizioni diventa una grossa sfida per un missionario! Qual è il ruolo della Chiesa in questa situazione ? Parlerei piuttosto delle Chiese nel contesto liberiano…Le Chiese protestanti sono molto presenti ! La Chiesa cattolica è una minoranza , si aggira intorno al cinquesei per cento , anche se dal punto di vista educativo e delle strutture il peso è maggiore rispetto al numero. Le Chiese protestanti sono maggioritarie , sono capillarmente presenti dalle più antiche la luterana, la metodista, la battista a quelle più recenti come la pentecostale ed altre. La Chiesa cattolica è soprattutto presente nelle attività educativa , come ho già detto, con scuole ben organizzate, nell’attività sanitaria e poi, in quella caritativa nelle parrocchie, dove sono molto attive le missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta ed anche con congregazioni religiose che si occupano prevalentemente dell’aspetto caritativo –assistenziale. In Liberia ci sono tre diocesi in un territorio che corrisponde ad un terzo rispetto a quello dell’Italia. I vescovi sono locali, c’è anche un clero locale, il seminario, che è stato saccheggiato un paio di volte, però abbiamo oltre venti seminaristi. Il futuro potrebbe presentarsi meglio! Certo, riamane la sfida di una situazione, in cui la Chiesa come istituzione , come opere è stata bersagliata non più né meno rispetto alle altre – forse un po’ di più perché ha mezzi superiori . Però, è necessario interrogarsi da queste vicende che cosa Dio vuole dire attraverso questi avvenimenti. Ha senso dare speranza davanti alle atrocità dell’uomo? Sì, a condizione di non offrire speranze a “buon mercato”. La speranza è difficile , costa, è probabilmente cresce dalle sconfitte , nasce da coloro che sono le vittime …Sono ferite che aprono feritoie e da quest’ultime che passa la speranza, non da grosse porte o da autostrade. C’è un poeta John Berger che dice( N.d.R. l’intervistato cita a memoria):”Il tempo dei vincitori è molto breve , il tempo delle vittime è interminabile”. L’Occidente civile e democratico quali colpe ha di questi conflitti regionali in Africa? Colpe,responsabilità,complicità… Ricordo il titolo di un libro pubblicato dal Centro per un nuovo sviluppo:”Predati, Predatori ed Opportunisti”. La prima responsabilità è quello del sistema che fa vivere anche noi , che produce poveri ed esclusi in questo Continente. E’ un sistema economico ingiusto, per esempio, dalle materie prime, nei prestiti in un sistema che continua a riprodurre ineguaglianze…. Un altro aspetto è che ci sono degli interessi specifici di gruppi, multinazionali, legati ai Paesi occidentali. Nel caso della Liberia, I diamanti, il legno , in passato anche il ferro, il caucciù nel commercio marittimo Monrovia (N.d.R. capitale della Liberia,circa mezzo milione di abitanti ,si affaccia sull’Oceano Atlantico) è uno dei paradisi fiscali del commercio marittimo, ottimo per lo scambio anche di armi, droga… I primi responsabili non sono in Africa, anche se hanno complicità locali. Un’altra responsabilità è legata all’informazione: spesso arrivano poche notizie , estremamente frammentarie che non aiutano a cogliere pienamente i motivi e le dinamiche di questo processo , ma si fermano ai motivi più eclatanti e mediatici. Si è parlato della Liberia per qualche giorno , poi, siamo ritornati nell’ oblio dei mezzi di comunicazione sociale. Per dirla come dice il subcomandante Marcos del Chiapas :” Per diventare visibili, abbiamo coperto il nostro volto , perché stavamo scomparendo come popolo e siamo apparsi davanti ai mass media”. Ci sono delle responsabilità dell’informazione! Questo populismo degli organismi umanitari , anche se senza dubbio forniscono servizi fondamentali nel corso dell’emergenza,si trovano tra due grosse opzioni: la prima quella di essere le “ambulanze” del sistema, la seconda è quella di far sì che queste realtà possano partire dal basso, dal popolo per avere spazi per esprimersi. Spero che ci sia più chiarezza su questa opzione. Dove sta andando la Liberia? E’ stato firmato un accordo di pace lo scorso agosto tra i due gruppi armati che hanno costretto Taylor (N.d.R. Ex presidente-dittatore della Liberia) a dare le dimissioni e a partire per un esilio dorato di trenta mila di dollari la settimana in Nigeria. Il governo di Taylor , la società civile e i partiti ovvero queste quattro parti si sono suddivisi i posti di responsabilità. E’ nato un governo di transizione che dovrebbe condurre in due anni a nuove elezioni.(N.d.R. Tra i possibili presidenti potrebbe essere l’ex giocatore milanista George Weah). Il tutto sotto la supervisione delle Nazioni Unite che in Liberia hanno attualmente la più imponente forza di pace al mondo con quindici mila caschi blu più gli impiegati impegnati in questa missione. Speriamo solo che questo tempo sia utilizzato bene!

Una questione morale: l'ambiente

Questo periodo è stato caratterizzato da emergenze naturali  siccità , poi improvvise e , talvolta, violente piogge che hanno creato anche  problemi di produzione dei nostri prodotti tipici e gravi danni in alcuni centri della nostra regione. Tuttavia, l’aggressione dell’uomo si è spinta all’ inverosimile. Gli episodi del ritrovamento di rifiuti pesanti sull’Alta Murgia e dell’ occupazione di tratti fluviali del fiume Ofanto, chiamato dai Romani Aufidus, devono far riflettere l’opinione e pubblica e chi gestisce la cosa pubblica ad individuare percorsi di sostenibilità ambientale , dove un equilibrio tra uomo ed ambiente, non passa solamente attraverso la tutela, ma anche nel verso di scelte che abbiano come punto di riferimento la natura come “casa comune”, di tutti basata su un’etica della responsabilità e del rispetto. In passato, proprio su queste colonne sommessamente  ho scritto più volte sulla Murgia, dell’ importanza  e del valore di un territorio e del rischio che questa zona viveva, anche nel campo del rispetto dell’ambiente e dei vantaggi che si possono avere, non solo sotto l’aspetto ecologico, ma anche sotto la prospettiva storico- culturale, di una identità peculiare della nostra zona che rischia tuttoggi di essere sempre più gravemente compromessa e per certi versi di sparire. Alcuni pensano che quando si parla di un’istituzione di parco rurale  nazionale, regionale o quant’altro, ci siano solamente  “lacci” , “ vincoli” e “ divieti”, ma quando, poi, si assiste al ritrovamento di fanghi non proprio “naturali” o, per quanto riguarda l’Ofanto, all’occupazione dell’alveo di un fiume che ha già diversi problemi, la norma, la regola implica una vigilanza , il rispetto e non il rischio di un’ anarchia dei pochi , con il rischio che questi danneggino un patrimonio dei più. Bene ha fatto il Santo Padre Giovanni Paolo II che nel messaggio della XXIII giornata della pace “Pace con Dio creatore. Pace con tutto il creato” nel  1990  ha parlato di tutela dell’ambiente come forma ed espressione, appunto, di pace. Infatti, nel messaggio del 1 gennaio 1990 dice , tra le altre cose al capitolo sette : ” …  il segno più profondo e più grave delle implicazioni morali, insite nella questione ecologica, è costituito dalla mancanza di rispetto per la vita, quale si avverte in molti comportamenti inquinanti. Spesso le ragioni della produzione prevalgono sulla dignità del lavoratore e gli interessi economici vengono prima del bene delle singole persone, se non addirittura di quello di intere popolazioni. In questi casi, l'inquinamento o la distruzione riduttiva e innaturale, che talora configura un vero e proprio disprezzo dell'uomo. Parimenti, delicati equilibri ecologici vengono sconvolti per un'incontrollata distruzione delle specie animali e vegetali o per un incauto sfruttamento delle risorse; e tutto ciò - giova ricordare - anche se compiuto nel nome del progresso e del benessere, non torna, in effetti, a vantaggio dell'umanità”. Poi, bisogna superare l’ideologia che coloro che si occupano e,talvolta, si preoccupano dell’ambiente come le associazioni di categoria , ambientaliste,cattoliche, laiche, o i partiti politici  siano degli “untori” o , nel migliore dei casi, “ degli “imbonitori”, perché o non vogliono un certo sviluppo, o vogliono tenere tutto nella tutela, nella  “naftalina”. Il documento testé  citato, individua un percorso, una via d’uscita , infatti, al capitolo tredicesimo dice: "La società odierna non troverà soluzione al problema ecologico, se non rivedrà seriamente il suo stile di vita. In molte parti del mondo essa è incline all'edonismo e al consumismo e resta indifferente ai danni che ne derivano. Come ho già osservato, la gravità della situazione ecologica rivela quanto sia profonda la crisi morale dell'uomo. Se manca il senso del valore della persona e della vita umana, ci si disinteressa degli altri e della terra. L'austerità, la temperanza, la autodisciplina e lo spirito di sacrificio devono informare la vita di ogni giorno affinché non si sia costretti da parte di tutti a subire le conseguenze negative della noncuranza dei pochi. C'è dunque l'urgente bisogno di educare alla responsabilità ecologica: responsabilità verso gli altri; responsabilità verso l'ambiente. E un'educazione che non può essere basata semplicemente sul sentimento o su un indefinito velleitarismo. Il suo fine non può essere né  ideologico né  politico, e la sua impostazione non può poggiare sul rifiuto del mondo moderno o sul vago desiderio di un ritorno al «paradiso perduto». La vera educazione alla responsabilità comporta un'autentica conversione nel modo di pensare e nel comportamento. Al riguardo, le Chiese e le altre istituzioni religiose, gli organismi governativi, anzi tutti i componenti della società hanno un preciso ruolo da svolgere. Prima educatrice, comunque, rimane la famiglia, nella quale il fanciullo impara a rispettare il prossimo e ad amare la natura."* Giuseppe Faretra*Il messaggio integrale del XXIII Messaggio della pace del 1990  è scaricabile da Internet dal sito www.vaticano.va

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