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Gli elefanti di carta del Sahel

 

 

Pubblichiamo molto volentieri un messaggio che viene dal Niger che ci fa capire come cammina un'altra parte del mondo.....Buon Natale sempre a tutti e grazie padre Mauro...

Gli elefanti di carta del Sahel

Siamo dei recidivi. Il Niger occupa con dignità il numero 188 nella classifica mondiale dello sviluppo umano. Questo secondo il rapporto appena pubblicato dal Pnud che ogni anno arricchisce gli scaffali umanitari. Ancora più indietro dell’anno scorso. L’ambito ultimo posto della graduatoria ci spetta di fatto se non di diritto. Per intanto c’è l’’Unicef che si occupa dei bambini e dell’educazione. Il Pam, che contribuisce a palliare alle carestie annuali del paese. L’Hcr che di rifugiati se ne intende. Onusida che organizza corsi di informazione e produce depliant plastificati sulla maniera più consona per evitare le contaminazioni mortali. L’Oms che inocula rapporti sulla salute, l’epidemia di meningite, ebola, malaria e altre malattie transmissibili. Ad esempio la miseria, che si riproduce per imitazione. Ocha coordina l’assalto delle ONG dello sviluppo e delle urgenze. L’Unione Europea e i paesi arabi che col Qatar e gli Emirati imitano i cinesi che sul ponte hanno un albergo per gli Affari Futuri. Ad ognuno il suo Niger. Ultimo per fortuna umanitaria. Oxfam, Care internazional, Save the children, Usaid con la borsa del Buon Samaritano, l’Oim per i migranti da sconsigliare o al massimo da contare. Ci sono i ritorni auspicati al paese di origine e una migrazione che sia vincente per tutti e,se possibile, i poveri smettano di dare fastidio spostandosi. La globalizzazione vale per i soldi, le notizie, i calciatori e le merci. I migranti al massimo potranno essere assunti come ostaggi delle economie sommerse del nord. La lotta di classe ha un bel futuro davanti, come i muri di sostegno all’economia dei potentati armati. Si investono milioni per proteggersi dai poveri e nel contempo si cercano nei loro paesi di origine mercati senza barriere. Si formano doganieri, esperti di frontiere, militari, addetti ai sistemi di sorveglianza e si estendono le frontiere esteriori dell’Europa. Si confeziona per anni un’economia di rapina (terre, mari, foreste, accordi bilaterali di riammissione) e poi si vorrebbe il silenzio complice dei poveri. Le migrazioni sono un grido di resistenza al potere di classe. Una risposta all’elefante di carta- Gli altri ultimi sono i soliti noti del plotone. Tutti in Africa occidentale al di sotto di Lampedusa e del Sahara. Paesi corteggiati dall’umanitario, dai piani di aggiustamento e dal politici locali che vivono di estrazione. Rubano la ricchezza del popolo per perpetuarsi nel potere. Un circolo oliato dal sistema internazionale di complicità umanitaria estrattiva. La Liberia di Geogre Weah pallore d’oro nel ’95 col numero di maglia 177, segue la Guinea Bissau luogo di transito per il commercio di droga per il Nord, il Mali che esporta migranti dappertutto nel mondo, il Mozambico, unico extra del gruppo al numero 180. Appena dietro la Sierra Leone che degli schiavi libera era l’approdo dal naufragio, la Guinea col nuovo presidente che inaugura le centrali qualche giorno prima delle elezioni, caso mai ci fossero dubbi per votare. Il Burkina Faso della rivoluzione di ottobre dell’anno scorso e la memoria di Sankara, all’ombra del futuro, che precede di un soffio il Burundi sull’orlo della guerra civile e il Tchad di Idriss Déby che resta al potere per il bene del popolo, al 185 posto. Chiude la lista il Niger, anticipato di un soffio dall’Eritrea che se la cava bene col ciclismo e il Centrafrica che grazie a Francesco scopre un posto nella carta geografica dei giornali nostrani. L’annuncio dell’ennesimo colpo di stato sventato per un soffio nel Niger è confessato nel messaggio presidenziale . Il Niger vive e prospera di annunci e golpe militari a buon mercato. Gli elefanti di carta somigliano ai progetti di sviluppo integrato, durabile e soprattutto commestibile (per gli esperti che non mancano mai). Altrove si vive e specula sulla paura e si organizzano ronde e se non bastasse ci si barrica in casa. Ben dice l’amica Nadine nell’ultimo suo scritto…quante cose avrai da fare...avrete da fare...cosa devono vedere i vostri occhi...che pena per tutti...è veramente difficile essere positivi in questo momento della storia...da quando sono piccola sento parlare di povertà e ricchezza...due antagonisti notissimi...forse i più famosi al mondo...loro hanno il primato da milioni di anni...il fatto è che la ricchezza della povertà è uguale alla povertà della ricchezza....Vi auguro un Buon Natale e un anno nuovo migliore ....

 

mauro armanino, niamey, dicembre 015

Diallo et le frontiere elettriche del Niger

Diallo et le frontiere elettriche del Niger

Malgrado l’uranio che illumina la Francia nel Niger l’energia scarseggia. Nel Niger si produce e si svende l’uranio ma soprattutto si esportano frontiere. Arrivare di notte con l’aereo è un’emozione. Il buio fitto che accompagna la discesa verso la capitale Niamey si illumina d’immenso. Sono le luci dell’aeroporto e quelle, sporadiche, lungo la strada che porta al centro. Nell’insieme i riflessi sono a macchia di leopardo e tutto dipende dalla compagnia di distribuzione di elettricità. Nella stagione calda la musica più diffusa in città è quella prodotta dai gruppi elettrogeni. A fatica si cerca di palliare alle croniche insufficienze di produzione. Cresce la capitale e aumentano i consumi di energia poco rinnovabile. La stabilità è assicurata dalle fatture, l’unica cosa puntuale del paese. Diallo, originario della Guinea, torna a casa dopo pochi mesi passati in Algeria. Più che sufficienti per scoraggiare un’ulteriore permanenza in clandestinità. I soliti cantieri edili, con proprietari siriani, algerini oppure cinesi. La costante comune è la fatica, lo sfruttamente e le paghe da sopravvivenza proletaria da fine ‘800 in Inghilterra. La rivoluzione industriale non è finita per nulla. Solo cambiano i nomi, i luoghi e le modalità. Diallo torna perché vuole riprendere la scuola, abbandonata per mancanza di soldi. La sua famiglia è divisa e lui vive col padre perché sua madre ha un altro marito. Ma è solo lei a chiamarlo ogni giorno e a supplicarlo di tornare indietro prima che sia troppo tardi. Suo padre, invece, era d’accordo con la partenza, così sostiene Diallo. Torna assieme all’amico Aboubacar, originario dello stesso villaggio di Guinea. Si consolano a vicenda della disfatta e solo sperano arrivare il fretta al paese per tornare alla vita di sempre. Non pensavano alle frontiere del Niger. Sono merce esportabile, a livello locale e internazionale. Preziose specie se non tracciate da nessuno e comunque fonte di reddito per molti. Aboubacar aveva portato alcune bottiglie di profumo e tre vestiti completi per le sorelle. Una di loro si vuole sposare e Aboubacar si sente quasi capo famiglia, classe ’93 che precede di un anno Diallo, nato nel ’94. Alla frontiera gli portano via tutto, compresi 30 mila franchi.Gli spiace per i profumi e rimpiange i completi da regalare alle sorelle. Quella che si sposa dovrà rimediare in fretta, contava su di lui. Diallo aveva nascosto i soldi per il resto del viaggio nella borsa. La prima perquisizione non aveva dato i risultati sperati. La fase successiva è stata molto semplice. Diallo è stato condotto in una stanza a parte, invitato a spogliarsi e a rivelare il luogo del nascondiglio dei soldi. Alla sua ripetuta resistenza il poliziotto ha risposto con l’uso di scariche elettriche sul suo corpo. Un sistema relativamente nuovo e, a quanto sembra, efficace. Le formazioni della polizia di frontiera e i mezzi messi a disposizione per controllare le frontiere cominciano a funzionare davvero. Diallo ha ceduto alla tortura e ha rivelato il nascondiglio segreto della borsa. Anche a lui hanno preso 30 mila franchi e, assieme, la dignità. Le frontiere del Niger sono di colpo provviste di energia elettrica, a gratis. Poi c’è il golpe, ormai superato, nel vicino Burkina Faso e persino la partenza per il paese è bloccata alla stazione. Oggi è la festa della Tabaski, rimpianta da migliaia di capri che vorrebbero non essere mai nati. E, una volta di più, manca la corrente in città, ma non alle frontiere del Niger.

 

mauro armanino, niamey, settembre 015, festa della Tabaski

L’albero Indipendente del Niger

L’albero Indipendente del Niger

Era cresciuto nella ‘cintura verde’ di Niamey. Aveva passato la sua infanzia credendo nella sua vocazione sociale. L’albero era là quando, nel 1960, erano stati fatti i dovuti arrangiamenti per la prima festa dell’Indipendenza coi coloni francesi. Era un figlio dell’illusione di poter ridurre la polvere del vento del deserto che soffia come dappertutto nel Sahel.

250 ettari di alberi piantati per fermare il deserto alla frontiera della capitale Niamey. Era un albero militante della prima ora come tanti altri in quegli anni. Un albero Indipendente che non aveva avuto paura di opporsi al deserto del suo paese. Aveva tentato, senza successo, di fondare un sindacato indipendente degli alberi. Col passare degli anni aveva imparato la lezione a memoria. Che l’Indipendenza del suo paese era stata svenduta e messa in vendita come un prodotto qualsiasi. E’ allora che i Grandi Compratori del Mercato Umanitario arrivarono a frotte. E così la ‘cintura verde’ cominciò a trasformarsi in un luogo turistico come un museo poco custodito. E lui, l’albero dell’Indipendenza, era preso come ostaggio in ogni anniversario. Facevano ormai 55 volte, gli anni nei quali doveva spostarsi per assistere ai soliti discorsi di circostanza. La ‘cintura verde’ si sentiva assediata dai nuovi quartieri residenziali della città e dalla prevista estensione dell’aeroporto Diori Hamani. Senza farsi notare, il solo albero dell’Indipendenza che rimaneva, iniziò ad interessarsi della sorte degli altri come lui. Dopo aver contattato una ONG del posto e aver ricevuto una formazione specifica si mise a sorvegliare i grandi camion portatori di legno. Erano i suoi fratelli e sorelle ad essere identificati, tagliati, fatti a pezzi ed infine venduti in città per una manciata di denaro. Ogni volta era la stessa storia. Gli alberi diventavano legno per fare la cucina e il deserto poteva continuare il proprio cammino. I camion carichi di legno, nel frattempo, contribuivano ad arricchire i grandi padroni del sistema di sfruttamento del legno. L’albero dell’Indipendenza non sapeva più dove battere il capo. I mezzi d’informazione non gli davano nessuna fiducia. In buona parte erano stati comprati come si compra il legno sul mercato. Gli altri giornali si dichiaravano ‘indipendenti’ ma avevano dimenticato che la libertà non è mai gratis. C’è sempre un prezzo da pagare perché la dignità non ha prezzo. I partiti si erano ridotti a fare l’eco del vento che quando soffia riempie tutto di polvere. Nulla di nuovo a parte le parole di sempre. Non parliamo della società civile che, l’aveva capito dopo, funziona quando ci sono i soldi a dettare l’agenda. Si trattava con ogni probabilità di mercenari Aveva allora deciso la migrazione come molti altri prima di lui. Un albero Indipendente e Migrante per cercare una soluzione decente ai suoi problemi. Alcuni lo chiamavano ‘disertore’ e altri ‘irregolare’. I più motivati tra loro gli davano come nome ‘clandestino’. Un albero clandestino senza radici che si sposta per attraversare il deserto che avanza. Con alcuni amici, che aveva conosciuto in cammino, avevano cercato di raggiungere il mare. E’ allora che avevano trovato il modo di diventare utili agli altri alberi che come loro camminavano verso il mare. Si sono messi assieme e come per prodigio il battello si è costruito da solo. A bordo c’erano solo donne e bambini. Era il giorno dell’Indipendenza del paese

. mauro armanino, niamey, agosto 015 l

Lettere Nigerine

Abbiamo ricevuto una missiva dall'Africa dal nostro amico padre Mauro Armanino.

Nel testo che ci ha inviato, ci parla del suo inserimento nella realtà nigerina.

Ricordiamo che il Niger è confinante con la Libia ed è particolarmente ricco di uranio.

Questo ci dovrebbe far riflettere sulle prossime scelte referendarie.

 Lettere Nigerine                                             

Laafia. Oltre i confini delle frontiere.  

Bomoanga esiste appena e saltuariamente nelle cartine del Niger. La savana secca che assedia Niamey. Termina la città ed iniziano, poco lontano passato il ponte sul fiume, case sparse impastate di fango, paglia e precarietà della passata stagione delle pioggie. Si paga il pedaggio per l'unica strada asfaltata del circondario. Si rivela il luogo di destinazione e la direzione verso la frontiera col vicino Burkina Faso e i camion ricolmi di mercanzia che arrivano dal Togo e dal Benin.   Makalondi invece appare solo perché senza volerlo si trova quasi in fondo alla strada. Passano biciclette cavalcate da esperti navigatori di sabbia e di calore. I bimbi salutano da lontano e aspettano che accada ciò che non era stato loro promesso. I confini sono tutti nelle nostre teste. Nella terra invece si incontrano frontiere. I frontalieri stanno di fronte, sentenziava giustamente Erri de Luca. Fronte a fronte. Come le parole che si rispettano. Laafia è una di queste. A Bomoanga torna ogni volta che si chiede qualcosa e  quando si deve rispondere a qualcuno. Non si sbaglia mai a dirla. Facile a pronunziarsi una volta vinta la paura dei confini. Vuol dire tante cose o forse solo che le cose vanno bene ai campi, alla moglie, ai figli e ai buoi dei paesi tuoi. Laafia.   Che va bene. Che fa bello. Che c'è pace. Che si vive. Che ci sono amici da qualche parte. Che si torna la prossima volta. Che la savana ha le doglie e forse piove. Che la canna da zucchero va innaffiata due volte al giorno dal pozzo scavato accanto. Difficile da coltivare perché ci sono gli animali che brucano e le termiti e l'acqua da trovare ogni volta e un mercato per smerciare le poche canne arrivate a maturazione. In sei, cuciniere compreso, hanno già pensato di smettere. Perché coi contadini è difficile. Sanno come funzionano la terra e le frontiere e le canne da zucchero in savana.   Laafia vuol dire tutte queste cose e molte altre ancora. Che hanno iniziato a scavare più lontano per trovare incaute pagliuzze d'oro. La pronuncia si allunga alla prima vocale e da un senso di pienezza che scompare non appena si gira l'angolo. Cortili a forma di cerchio dove dentro vivono tutti. Animali, cose, bambini, fuochi per cucinare, fumo, recipienti per l'acqua, granai per conservare il miglio e soprattutto lei, l'altra frontiera. Fronte a fronte. I cercatori d'oro scavano in giro e sono giovani e forti. L'oro e l'uranio e il petrolio, quello, sono i cinesi che l'hanno già iniziato a pompare.   Strade appena disegnate che sfiorano la polvere e tratti di laterite che si addestrano per le pioggie. Le piste, mi hanno detto, saranno pure supposizioni da tramandare agli spuntoni di cemento che segnalano i punti percorribili. Nel frattempo passano mandrie e gli alberi si trasformano in foglie con le spine che seccano e si usano per effimere recinzioni e bucare i pneumatici delle rare auto. Si fabbricano mattoni di terra persino per la chiesa e da lontano i bambini finiscono la scuola e tornano a casa per imparare ciò che accade nela vita vita reale.   Laafia sono frontiere leggere che non chiedono documenti e passaporti e carte d'identità e neppure domandano la nazionalità. Regalano un sorriso a chi si avvicina e domandano quando si torna la prossima volta e perché non ci si ferma con loro qualche giorno di più. Sono parole importanti e, guardando meglio la cartina della storia, Bomoanga è ora molto importante. Si direbbe quasi un fiume a sud del futuro.      Mauro Armanino, Niamey, Aprile 2011.

AUGURI DI UN BUON PASSAGGIO

AUguri di un Buon passaggio

La Pasqua per tutti  

Siamo a Pochi chilometri… Non più di trequarti d’ora dalla nostra città …. Palazzo San Gervasio ,porta della Lucania,per altri passaggio ,luogo di stazionamento per chissà  dove…. Ci sono passato diverse volte,lì dove il pannello indica Provincia di Potenza e la fine della Bt, con un alternarsi di tonalità di verde tra le colline con macchie di giallo ed i puntini bianchi verso il cielo dei vari alberi in fiorescenza primaverile. Lì poco prima dell’inizio dell’area artigianale di palazzo San Gervasio, sorge un campo di accoglienza di profughi africani. Prima griglie ed inferiate,ora alte mura di grigio cemento circondano il campo. Accoglienza, già, sembra ,forse un passaggio verso un altrove , in un altro luogo,dove poter continuare la propria storia. Sono cinquecentoventi giovani uomini, con le tasche piene di speranze ,sorridevano dalle inferiate con l’indice e il medio fanno il segno di vittoria. Sono passati nell’altro quadro del mare Mediterraneo ostico,verso un futuro che non conoscono , lo vogliono e lo cercano migliore….  Cercano di spostarsi in un’altra nazione, di trovare lavoro, vivere in modo dignitoso, cercano un passaggio di  vita, vogliono fuggire dalla povertà e dalla guerra. Gli ho chiesto in francese:” Sapete che qui in Europa  c’è la crisi ? “, mi hanno risposto :”Si ma noi vogliamo soltanto lavorare …..”. Sono lì a Palazzo San Gervasio in cerca di un passaggio verso la destinazione di un futuro , incagliati tra le beghe politiche , passano …. Sono giovani capaci di futuro, di mettersi in gioco nient’altro in cerca di un passaggio su un ponte. Buona Pasqua, per tutti coloro che possono essere un Ponte per qualcun altro.     Giuseppe Faretra

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