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La resilienza della scuola italiana

La resilienza della scuola italiana

Covid: la chiusura e riapertura le attività didattiche ed educative sono sempre in continua evoluzione.

Con la situazione sanitaria Covid e le indiscutibili evoluzioni economiche e lavorative conseguenti alla pandemia con la discussione di come riorganizzare il lavoro e il sistema economico in generale, la situazione della scuola ha avuto un impatto per le famiglie, gli alunni e tutti gli operatori scolastici. La didattica a distanza partita senza sperimentazione almeno qui nel Meridione e a macchia di leopardo ed in ordine sparso è una delle nuove scommesse, dopo che si è passato per anni con tagli lineari a scuola e sanità, ridimensionando questi servizi fondamentali per la coesione sociale di una comunità nazionale. Ora in varie misure per i finanziamenti europei scuola, sanità e sviluppo sostenibile/ecologico nei vari processi economici e produttivi sono le misure che vanno finanziate secondo gli indicatori macroeconomici. Noi siamo per la scuola di qualità che va oltre una buona scuola. Si parlava da anni di inserire nel curricolo l’educazione ambientale. I vari istituti di vari ordini e grado lo fanno, ma in modo disorganico e, talvolta, disarticolato. Il Ministero dell’Istruzione ha pubblicato la Nota N. 19479 del 16 luglio riguardante il piano di formazione docenti per l’educazione civica. Nella Nota si fa riferimento alla legge 92 del 20 agosto 2019 che ha introdotto dall’anno scolastico 2020-2021 l’insegnamento scolastico trasversale dell’educazione civica nel primo e secondo ciclo d’istruzione, inquadrate da iniziative di sensibilizzazione ad una cittadinanza responsabile dalla scuola dell’infanzia fino alla scuola secondaria. Il tema dell’educazione civica – si legge nella nota – assume oggi una rilevanza strategica e la sua declinazione in modo trasversale nelle discipline scolastiche raffigura una scelta “fondante” del nostro sistema educativo, partecipando a “formare cittadini responsabili e attivi e a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunità, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri”.

I nuclei tematici dell’insegnamento sono indicati nel comma 2 dell’articolo 1 della Legge: 1. Conoscenza della Costituzione italiana e delle istituzioni dell’Unione europea, per sostanziare in particolare la condivisione e la promozione dei principi di legalità; 2. Cittadinanza attiva e digitale; 3. Sostenibilità ambientale e diritto alla salute e al benessere della persona. Soffermandoci, in modo particolare, su questo punto, essere cittadini attivi, quando si parla di “ambiente” significa essere in grado di contribuire alla salvaguardia dell’ambiente, non solo con i nostri comportamenti privati e pubblici, ma anche con il nostro intervento competente alle decisioni collettive da forme di cittadinanze attiva fino ai diritti – doveri dei cittadini-consumatori. Vuol dire quindi, imparare a dare contributi progettuali di carattere tecnico-scientifico, supportati da azioni etiche e da decisioni sostenibili. Vuol dire conoscere l’ambiente per rispettarlo, con un nuovo senso di responsabilità con l’obiettivo di generare il benessere individuale e collettivo. Nella sostenibilità ambientale rientrano diverse aree di azione che vanno dalla sostenibilità in riferimento alla produzione e consumo di energia, alla viabilità, alla creazione di smart city, alla tutela del patrimonio paesaggistico, ecc. “ . Sono necessarie da sviluppare nuove competenze metodologiche e didattiche senza dubbio per poter fornire questa nuova consapevolezza.

Altri interrogativi ci sono riguardanti la dimensione culturale, psico- pedagogica e valoriale dell’insegnamento/apprendimento di Educazione Civica e Costituzione allo sviluppo delle competenze di cittadinanza; se ci si fermasse a una interpretazione degli aspetti sociali, relazionali o tecnici ne andrebbe perduta la potenziale valenza cognitiva e culturale. Da un lato, occorrerà puntare a un percorso fondato su valori condivisi su solide basi scientifiche e culturali, su atteggiamenti collaborativi di convivenza civile e di legalità, sviluppando prassi solidaristiche e proattive a varie attività cooperative e una vera conoscenza di tutto il terzo settore, dall’altra su competenze culturali forti di saperi disciplinari e di abilità trasversali che consentano a ciascuno di comprendere, selezionare, organizzare le informazioni per risolvere i problemi e progettare la propria vita facendo responsabilmente le proprie scelte.

Non si scherza con il fuoco!

Non si scherza con il fuoco!

L’estate mette a forte rischio la flora e la fauna a causa di alcuni comportamenti scorretti.

Una ricerca è stata condotta da World Weather Attribution (WWA), iniziativa che unisce scienziati di tutto il mondo e analizza su come la crisi climatica stia già condizionando gli eventi meteorologici estremi. In passato i loro studi avevano già portato alla luce il ruolo dei cambiamenti climatici nelle ondate di caldo torrido dello scorso giugno e nell’aumento dell’intensità delle piogge provocate da alcune tempeste. Nei prossimi decenni il rischio di incendi boschivi in area mediterranea potrebbe aumentare a causa di condizioni climatiche più aride. È quanto conclude un articolo pubblicato sulla rivista Scientific Reports, nel quale un team che coinvolge l’Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche (Igg-Cnr) e le Università di Barcellona, di Lisbona e della California a Irvine ha sviluppato dei modelli matematici in grado di presumere la pericolosità ed estensione degli incendi boschivi. L’Italia, durante i mesi estivi, appare il paese dei falò. Incendi e roghi dappertutto, con un doppio guasto e un doppio sperpero: interi pezzi di vegetazione, innanzitutto alberi, che si perdono, ed enormi rischi innanzitutto per le vite umane. Da un lato ci sono i piromani di professione, autentici delinquenti, che andrebbero individuati e sanzionati, dall’altro versante, però, ci siamo noi, con i nostri comportamenti e i nostri stili di vita. Talvolta demenziali, come lasciare fiamme incautamente in luoghi aperti espone quello spazio ad eventuali incendi. A questo punto è necessario attivare una serie di attività di prevenzione degli incendi. La protezione antincendio si suddivide in due grandi campi: 1. La prevenzione incendi, nota anche come protezione antincendio preventiva 2. La lotta contro gli incendi, nota anche come protezione antincendio attiva. Questi due ambiti necessitano di tecniche ed organizzazioni proprie poiché ognuno di essi è diventato ormai estremamente complesso, tanto da richiedere una profonda specializzazione. Entrambi i settori perseguono tuttavia lo stesso scopo, e cioè non solo di ridurre al minimo possibile i danni economici dovuti agli incendi, ma di combattere in modo ancora più determinato la minaccia che può derivarne alle persone e agli animali. Ciò va perseguito mediante una significativa armonizzazione dei provvedimenti relativi alla protezione antincendio, sia preventiva che attiva. Quindi, è necessario: Non accendere falò e fuochi nei boschi durante le scampagnate e servirsi delle apposite aree attrezzate. Non abbandonare rifiuti sul terreno, perché facilmente infiammabili, riporli negli appositi contenitori della raccolta differenziata. Non gettare mai mozziconi di sigaretta o fiammiferi ancora accesi. Nei mesi più caldi non bruciare le stoppie, la paglia e altri residui vegetali in modo incontrollato. Tutti gli incendi piccoli e grandi segnalati li potete trovare su https://fires.globalforestwatch.org/ : è uno strumento per essere consapevoli della violenza del fuoco nelle varie parti del mondo con tanto di indicazione geografica e data. Si possono constatare gli spazi deforestalizzati, le emissioni inquinanti: è possibile così capire lo stato di salute del nostro Pianeta e la biodiversità mediante dati incrociati da più fonti. Specialmente d'estate, non si scherza con il fuoco!

Acqua bene comune

Acqua bene comune.

L’arrivo dell’estate mette a nudo diverse criticità ma è possibile fare qualcosa

. Tutti conoscono l’importanza dell’acqua dolce, potabile, pulita per uso umano, ma purtroppo, è limitata. Per usare una metafora immaginiamo che all’interno una grande vasca di acqua salata, l’acqua dolce e potabile sia solo all’interno di una piccola ciotola. Gli esperti dicono che quest’ultima rappresenta solo il 3% dell’acqua presente sul nostro pianeta. Il problema di approvvigionamento idrico in Puglia si presentò ai Romani particolarmente fastidioso almeno dal I sec. a.C. L’accenno di Orazio all’Apulia siticulosa (Epod. 3,14) non è un momento di malumore o una scherzosa battuta, ma una realtà di cui si era ben consci a Roma, in un’aria di quasi scetticismo. Insomma la caratteristica peculiare della Puglia è la scarsezza d’acqua. Quella che non suscita nessun apprezzamento altrove, in Puglia è lesinata, scarseggia in modo pesante, diventa oggetto di gran valore. Quando nel 23 a.C, a conclusione della sua opera poetica, Orazio vorrà legare la sua opera lirica alla sua terra d’origine, che è la valle percorsa dall’Ofanto, descriverà utilizzando le seguenti parole: «si parlerà di me nella contrada dove un tempo regnò l’eroe fondatore, l’antico Dauno, povero di acque» (C. 3, 30,16: pauper acquae Daunus). Con trasposizione poetica la scarsezza d’acqua l’attribuisce a Dauno, e non alla contrada dove esercitò il suo regno. Nonostante da un secolo in Puglia abbiamo il più grande acquedotto d’Europa, che porta l’acqua dalla Daunia al Salento passando lungo tutto il Tacco d’Italia, permettendo la vita e la possibilità di sviluppo di varie realtà socioeconomiche. L’acqua potabile non è un bene illimitato. Ci sono piccole e grandi soluzioni per puntare al risparmio dai piccoli gesti domestici nel ridurre e chiudere il flusso dell’acqua quando non è necessario, ma è opportuno sensibilizzare/ci ad un uso più razionale e consapevole: questa esperienza diffonderla ai più giovani. L'uso domestico è un settore in cui tutti possono contribuire a risolvere il problema idrico. Gli italiani consumano circa dieci volte più acqua di quanto necessario per soddisfare i bisogni umani di base. La sensibilizzazione dell'opinione pubblica è la chiave per cambiare i comportamenti dispendiosi. Piccoli cambiamenti applicati in tutto il paese potrebbero avere un grande impatto, e ci sono accorgimenti che tutti possono osservare. Le docce rappresentano uno dei maggiori sprechi di acqua per uso domestico: tipicamente, vengono utilizzati più di 20 litri al minuto. Diminuire il tempo della doccia da dieci a tre minuti può far risparmiare almeno 70 litri a persona, circa 840 litri alla settimana per una famiglia di quattro persone. Si può anche usare un secchio per raccogliere l'acqua sprecata in attesa che arrivi l’acqua calda e utilizzarlo per innaffiare le piante o per pulire il pavimento. Allo stesso modo, i servizi igienici utilizzano una grande quantità d'acqua, i modelli più vecchi usano fino a 18 litri per ogni scarico, il che rende importante tirare lo sciacquone solo quando necessario. Se i vecchi servizi igienici non possono essere sostituiti con un doppio scarico a basso consumo idrico, risparmiando migliaia di litri all'anno, mettere un mattone o una bottiglia piena nella cisterna ridurrà la quantità di acqua utilizzata quando si tira lo sciacquone. Sistemare le perdite in casa consente di risparmiare una quantità sorprendente di acqua: oltre 20.000 litri all'anno per un rubinetto che gocciola e quasi 60.000 litri all'anno per una toilette che perde. In cucina è possibile risparmiare acqua in molti altri modi. Un rubinetto, mentre è in funzione, utilizza circa 16 litri di acqua al minuto, che aumentano rapidamente quando si lavano le verdure o si sciacquano le stoviglie. I rubinetti ad alta efficienza aggiungono aria al flusso d'acqua in modo da ottenere una pressione simile con appena la metà della quantità di acqua. Lavare le stoviglie in un lavandino può utilizzare 122 litri d'acqua; una lavastoviglie utilizza in media solo 12 litri per carico grazie alla sua capacità di filtrare e riciclare l'acqua, il che elimina anche la necessità di pre-sciacquare sotto il rubinetto. Poiché si prevede che il cambiamento climatico porterà in Italia condizioni meteorologiche più frequenti ed estreme, molti ammettono che è necessario un approccio all'acqua più calcolato. Il pericolo è la diminuzione della quantità e della qualità dell'acqua. La soluzione è vecchia come l’Aqua Appia: investire in modi efficaci per portare l'acqua dove serve e utilizzarla in modo responsabile. Un'altra soluzione potrebbe essere incrementare la produzione d’acqua in Italia. I tentativi di creare precipitazioni artificiali hanno avuto scarso successo; tuttavia, la desalinizzazione è adesso un’opzione considerabile in quanto è diventata meno costosa. Nel mondo ci sono circa 17.000 impianti di desalinizzazione che riforniscono 300 milioni di persone: gli impianti di desalinizzazione australiani sono cresciuti in maniera costante nei periodi di siccità, mentre Israele utilizza questa tecnologia per esportare acqua dolce. Un altro modo per migliorare l'efficienza è attraverso programmi di riutilizzo su larga scala delle acque reflue, che catturano l'acqua usata per l’utilizzo a scopi non potabili, quindi prevalentemente per l’allevamento, l’industria e l’agricoltura. Molte di queste soluzioni richiedono investimenti considerevoli e tempi che purtroppo in Italia diventano lunghi per opere pubbliche primarie, nonché la solidarietà nella condivisione del bene acqua anche da altre regioni come l’Abruzzo: nel frattempo, la soluzione più economica è ridurre il consumo d’acqua. L'Italia ha una delle impronte idriche più alte d'Europa, superiore del 66% alla media mondiale. Di questa, una quantità sproporzionata viene utilizzata per l'agricoltura: fermo restando che l'irrigazione è essenziale per l'Italia, bisognerebbe considerare i vantaggi in termini di consumo del passaggio dall'antica e inefficiente pratica delle inondazioni ai più sostenibili sistemi di micro-irrigazione. Ci sono stati anche esperimenti incoraggianti rispetto all'impiego di acqua salata per l’irrigazione di alcune coltivazioni. L’industria è il secondo settore per utilizzo di acqua e anche in questo caso l’adozione di processi più efficienti dal punto di vista idrico e la trasformazione dell'acqua salata in acqua dolce potrebbero ulteriormente contribuire alla riduzione dei consumi.

5 anni da Laudato Si

5 anni da Laudato Si

L’ecologia ha una profonda attualità tra presente e futuro.

E’ passato un lustro dalla pubblicazione dell’enciclica del Papa che ha evidenziato la difesa della casa comune: il nostro Pianeta con le sue relazioni. Ci insegna come soltanto con l’impegno di tutti possiamo rialzarci e sconfiggere anche il virus dell’egoismo sociale con gli anticorpi di giustizia, carità e solidarietà. Per essere costruttori di un mondo più giusto e sostenibile, di uno sviluppo umano integrale che non lasci indietro nessuno. Oltre a tutti gli altri meriti di questa enciclica epocale, si divulga molto probabilmente il punto di riferimento per il discorso ecologico dei prossimi anni, forse decenni. Il che non significa un consenso generale su tutte le affermazioni del testo, ma una sua egemonia come punto di riferimento per la questione ecologica. Se le attività del movimento ecologista dagli anni Settanta dello scorso secolo, avevano evidenziato la crisi di un sistema economico e produttivo che puntava essenzialmente a creare profitti, e utili economici a scapito di ogni valore e principio e in questo c’era bisogno di un documento che poneva una dimensione etica e sociale dell’ecologia. Prevedibilmente Laudato si’ fornirà anche per molti anni il riferimento per la “profondità” del discorso ecologico. Il documento critica “un’ecologia superficiale” che si manifesta sia in una falsa fiducia in soluzioni parziali e nelle tecnologie ambientali, sia in un atteggiamento misantropico, elemento centrale della deep ecology, che ritiene “che la specie umana, con qualunque suo intervento può essere solo una minaccia e compromettere l’ecosistema mondiale” (60). Dobbiamo intervenire sulla natura per svilupparne le potenzialità in un rapporto co-produttivo, come propone Ernst Bloch in Il principio speranza. “La libertà umana può offrire il suo intelligente contributo verso un’evoluzione positiva” (79). L’ecologia sociale – e qui arriviamo al cuore del testo – non si esaurisce in misure parziali, non condivide solo la fiducia nelle tecnologie, non si riposa sul pessimismo culturale della deep ecology, ma lavora per una conversione ecologica guidata da un impegno per la casa comune e per la giustizia globale oggi. “Non basta più dire che dobbiamo preoccuparci per le future generazioni. Occorre rendersi conto che quello che c’è in gioco è la dignità di noi stessi” (160). Un impegno morale, guidato dall’adorazione e dalla meraviglia per il creato “come uno splendido libro nel quale Dio ci parla” (12). Il che sarà di immediata plausibilità per i credenti, nella misura in cui sono di buona volontà ecologica. L’enciclica però non si rivolge al solo mondo cattolico e neanche solo agli uomini e alle donne di fede, ma a tutta l’umanità. La sfida cognitiva del documento per gli ecologisti laici è che chiede loro conto del fondamento etico del proprio impegno. Se non vuole finire nell’arbitrarietà, il discorso ecologico deve essere ancorato in valori, come quello della cura per la casa comune o della responsabilità per chi è lontano nello spazio e nel tempo, che non sono pienamente riconducibili a un discorso razionale e che non sono auto-evidenti. E non si può neanche cercare di sfuggire alla riflessione sulle presupposizioni normative del discorso ecologico invocando false naturalezze del tipo: siamo tutti responsabili per le future generazioni. Su questo progetto tutti siamo coinvolti, nonostante le COP e i forum sul clima e l’ambiente, in questi ultimi anni hanno stabilito accordi al ribasso sulle vere e profonde necessità del Pianeta nel campo delle emissioni e della sostenibilità. Sbaglia chi vuole dividere l’enciclica nelle sue parti ecologiche-sociali e nella parte di ispirazione religiosa. Si tratta di un insieme organico e indivisibile. Anche per chi la rivelazione della natura come libro nel quale Dio ci parla non è la risposta, il documento impone con grande autorevolezza di trovare la propria, di rendere esplicito su quali valori, su quale base etica si fonda il proprio impegno per la casa comune. In questo l’azione delle attività di un’associazione ecologista come Legambiente è vista di grande attualità e un fronte comune per conseguire una società più sostenibile.

"L'interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune." (Laudato sì n 164) Queste parole di 5 anni fa di Papa Francesco, ha dichiarato Lucia Dell’Aglio, risuonano oggi ancora più alte e urgenti. Oggi che ci ritroviamo a vivere un'emergenza a livello mondiale, ci siamo resi conto di come l'unica risposta possibile a quanto sta accadendo è costruire un mondo migliore *insieme*. Noi della parrocchia Mater Gratiae, con i ragazzi dell'ACR a Gennaio, abbiamo voluto accogliere questo invito a migliorare il mondo cominciando dalla nostra città e, insieme a Legambiente, abbiamo ripulito la zona circostante la parrocchia e piantumato alcuni alberi. È stato un modo concreto – ha concluso Lucia dell’Oglio- di sensibilizzare noi tutti ad aver cura del creato. “

“Il 5 anniversario dell'enciclica Laudato si' in questo tempo di quarantena, dice don Sergio Pellegrini, parroco di Santa Maria Greca, mette ancora di più in luce la straordinaria profezia di questo documento. Il non poter vivere le nostre relazioni mette in evidenza quali sino le cose davvero essenziali: considerare la persona come soggetto di relazione, prima ancora che come soggetto economico. Relazioni intese non solo tra uomini ma anche con il creato, questo è il cuore dell'enciclica. Inoltre papa Francesco ha di recente ricordato che questo non è il momento del giudizio di Dio, ma del giudizio degli uomini: l'uomo è chiamato- conclude don Sergio- a fare le scelte con riferimento alla solidarietà all'amore, alla dedizione tra tutte le creature”.

#iorestoacasa – traffico – inquinamento

#iorestoacasa – traffico – inquinamento

 

Questi giorni di limitazione delle uscite di casa e di conseguenza del traffico urbano l’aria è più pulita e leggera. Sappiamo bene che si fa un largo uso dell’auto, spesso anche quando non c’è un effettivo bisogno. Per chi usa l’auto, gli aspetti positivi, sono spesso, soprattutto negli spostamenti urbani, superati da aspetti negativi non banali: stress, tempo perso in coda, difficoltà e costi di parcheggio, ecc. Esistono però anche numerosi effetti negativi, detti “costi esterni”, subiti da quelle persone che usano l’auto poco o per nulla, che risentono dei problemi generati dal sistema di trasporto automobilistico come l’inquinamento dell’aria e rumore, soprattutto senza però percepirne benefici. In generale, vanno valutati quindi anche costi non strettamente monetari, ma piuttosto di tipo sociale ed ambientale. Ad esempio, occorre considerare l’incidentalità stradale. In Italia ci sono 9-10 vittime al giorno, con un “costo sociale” annuo di 20-25 miliardi di euro, l’inquinamento, che produce, silenziosamente, in Italia ed il valore economico del tempo complessivamente perso a causa della congestione stradale, stimabile su cifre dell’ordine dei miliardi di euro a livello nazionale. In pratica, l’esigenza di contemperare il diritto alla mobilità di ognuno di noi ed il diritto ad avere una qualità della vita soddisfacente e non influenzata negativamente dagli impatti del traffico, specie se non si contribuisce a generarlo comporta la ricerca di un difficile equilibrio. Questo equilibrio spesso si scontra con vincoli che appaiono insuperabili, ma dalle cause ben conosciute. Approfondiamo nel dettaglio alcuni aspetti. Le alternative all’uso dell’auto sono spesso poco appetibili. Il trasporto pubblico e la mobilità ciclabile non sempre hanno dagli amministratori locali l’attenzione che meritano, e non solo per mancanza di risorse ma, molto spesso, di competenze tecniche adeguate. In assenza di valide alternative l’automobile resta quindi spesso il mezzo preferito per gli spostamenti, nonostante molti, a parità di tempi di percorrenza, sarebbero disposti ad utilizzare i mezzi pubblici ,ma, purtroppo, questo non avviene, soprattutto a causa di scarso comfort di viaggio, coincidenze non ottimali e collegamenti saltuari e poco frequenti. A differenza di molte realtà europee, la situazione delle città italiane risente di un pesante deficit di trasporto collettivo, soprattutto su ferro. E le misure adottate finora, sia dallo Stato che dalle Regioni, a favore del trasporto collettivo locale e regionale si sono rivelate spesso insufficienti per garantire un servizio adeguato alla domanda, per qualità e quantità. La bicicletta potrebbe rappresentare una valida alternativa in città per le brevi distanze (circa la metà degli spostamenti che oggi vengono fatti in auto è infatti inferiore a 5 km), ma non riesce ad affermarsi in molte città italiane soprattutto a causa della scarsa sicurezza sulle strade, mentre in altri Paesi europei come l’Olanda o la Danimarca sappiamo che la situazione è ben diversa, peraltro, investire in infrastrutture per la ciclabilità va anche a vantaggio dei residenti: diversi studi dimostrano che il valore degli immobili aumenta in prossimità di piste ciclabili e percorsi pedonali. Per approcciare il problema nel modo giusto occorre vedere come un unico sistema l’insieme di infrastrutture, trasporti, ambiente, città e territorio, attraverso una progettazione integrata e multidisciplinare, avendo come obiettivo la qualità dell’ambiente urbano. L’urbanistica può svolgere in questo senso un ruolo importante: bisogna privilegiare un modello di città compatta, più efficiente dal punto di vista del tempo e dell’energia risparmiati negli spostamenti e più sostenibile grazie al minor consumo di suolo. Lo sviluppo urbano, nelle aree dove c’è effettiva esigenza, dovrebbe avvenire attorno alle “linee di forza” del trasporto pubblico, favorendo processi di densificazione urbana nei nodi ad alta accessibilità. Allo stesso tempo, sono utili gli interventi tesi a ripensare e valorizzare lo spazio pubblico, anche con iniziative che possono essere realizzate a costo ridotto, ad esempio incentivando gli spostamenti a piedi vedi anche il pedibus o similari e in bicicletta ,soprattutto per raggiungere i servizi pubblici come le scuole e cercando di accrescere le condizioni di sicurezza in città limitando la velocità dei veicoli, ad esempio con l’introduzione delle “Zone 30”. Aspettiamo da anni, il Piano Urbano del Traffico che possa essere condiviso con una politica attenta a trovare soluzioni chiare e con la partecipazione dei stakeholders. Legambiente su questo ambito da sempre è stata attento fornendo le nostre osservazioni e le proposte operative quando ci sono state iniziative nel campo della mobilità per migliorare la qualità della mobilità ed anche l’aria della nostra città.

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