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Lettera al Sindaco Giu. 2003 / 2

 

Corato, 16. 06. 2003 

 

COMITATO PER LA DIFESA DALL’ELETTRODOTTO

VIA MASSARENTI - VIA PRENESTINA

 

  

Al

Sindaco di Corato

Signor Luigi Perrone

 

Gen.mo Signor Sindaco

 

 con la presente lettera intendiamo informarLa e coinvolgerLa in uno dei problemi di quartiere, che da anni è “nell’aria”  - problema  che, per il pericolo per la salute dei cittadini e in particolar modo per la salute dei bambini che esso trasporta, rischia di creare  di giorno in giorno sempre più inquietudine nelle famiglie e nei singoli cittadini.  

Di che si tratta?

 

Si tratta di una situazione, nella quale noi cittadini da anni sperimentiamo  un senso di impotenza  di fronte all’ indiffferenza  di molti responsabili del bene comune ed un senso di delusione di fronte all’ incapacità  della politica degli ultimi 25 anni di elaborare una prospettiva di soluzione al detto problema.

 

Nella convinzione che attualmente al Comune di Corato si voglia cambiare rotta e che  Lei, come ha esposto pubblicamente in tante dichiarazioni, voglia con più sensibilità e decisione politica mettersi “dalla parte dei cittadini”, focalizzando meglio le smagliature esistenti nel contesto sociale della città, intendiamo come “Comitato per la difesa dall’elettrodotto Via Massarenti - Via Prenestina”  rivolgerci direttamente a Lei e al nuovo Consiglio Comunale nella speranza che finalmente  venga presa a cuore la situazione critica del nostro quartiere.

 

Con la presente desideriamo esporre i motivi per cui ci siamo riuniti in comitato e le strategie con cui intendiamo portare avanti una campagna di sensibilizzazione per i pericoli e l’effettivo inquinamento, in cui la popolazione di questo grande quartiere di Corato da anni vive.

 

Comitato di difesa - intenzione di difenderci -

DA CHE COSA?  C’è qualcuno o  qualcosa che aggredisce i cittadini che abitano, vivono e lavorano qui?

 

Sì: è l’elettrodotto da 150 mila Volt che attraversa il quartiere di Via Massarenti - Via Prenestina:  un quartiere densamente abitato, che non  si trova più alla periferia, ma nel contesto vivo di una città che si espande   (la periferia di Corato si è spostata fino alla Contrada Torre Palomba, fino ai quartieri limitrofi all’Oasi di Nazaret).

 

Si tratta di un elettrodotto che  costeggia i campi sportivi del Diamond, dove giovani e ragazzi trascorrono ore ed ore ogni giorno, affianca la villa comunale, passa sopra al centro dei testimoni di Geova, sfiora il Liceo di Corato e si piazza di fronte ad un centro commerciale  intensamente frequentato e movimentato come è quello di D’Introno. 

 

 

Si tratta di una “aggressione sottile”, che purtroppo per anni non abbiamo percepito: un’aggressione alla salute dei cittadini, ma anche all’ambiente ed all’estetica di una città per tanti versi “malmenata” dalla mancanza di un piano regolatore e dalla rabbia edilizia degli ultimi trent’anni.

 

Difesa - in che senso?

 

In primo luogo in  senso civico, democratico ma, nella costituzione del comitato, decisa e determinata nel porre le basi per la soluzione di questo problema.

Secondo nel senso che vogliamo contribuire come comitato a prendere e a far prendere coscienza del pericolo per la salute e per l’inquinamento quotidiano, in cui anche a causa dell’elettrodotto siamo sottoposti, cosa che a lungo andare porta a favorire le tipiche malattie, di cui tutti abbiamo paura e che purtroppo anche Corato si registrano: cancro, leucemia, irritabilità, disturbi dell’udito, mal di testa, insonnia, difficoltà di concentrazione, ecc.

 

Terzo nel senso di far prendere coscienza anche ai rappresentanti della politica cittadina della responsabilità che incombe su noi adulti e genitori nei riguardi della  salute dei bambini, che sono quelli che si trovano più in pericolo sotto i campi elettromagnetici  e che porteranno nel futuro le conseguenze di un nostro comportamento ambientale cieco e irresponsabile.

 

L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e tutte le organizzazioni europeee che lavorano per la tutela della salute dei cittadini sono concordi nell’affermare:

 

  1. Che la qualità della vita è inquinata e che lo stato di salute dei cittadini che abitano e lavorano sotto o nelle vicinanze di un elettrodotto di tale dimensione è seriamente  messa in pericolo. Ogni “organismo vivente è uno strumento elettromagnetico di grande e finissima sensibilità.”  Di qui la vulnerabilità del nostro organismo, che, se  entrano in funzione  campi elettromagnetici indotti da altre fonti, ne mettono in  subbuglio l’ equilibrio. 

 

  1. Per chi vive 24 ore al giorno, 7 giorni alla settimana sotto o vicino ad un simile elettrodotto l’ambiente di queste persone è inquinato in modo permanente ed inevitabile. Come afferma la relazione della Commissione europea del marzo 2001, “questo stato di cose è inaccettabile, solleva gravi questioni etiche e si può sostenere che costituisca una violazione del Codice di  Norimberga, in quanto saranno queste  persone in definitiva a rivelare in che misura l’esposizione cronica a questi campi sia nociva; informazione questa che attualmente non è disponibile. In altre  parole, queste persone sono in effetti i soggetti involontari di una sperimentazione di massa”.(Parlamento Europeo: Ufficio per la valutazione delle scelte scientifiche e tecnologiche, Resoconto esecutivo PE n. 297.574, marzo 2001).

 

Attualmente si registrano diverse Ordinanze di Tribunali in tutta Italia che impongono ai comuni o alle regioni l’interramento o lo spostamento delle linee elettriche aeree che producono delle immissioni in abitazioni private di oltre 0,4 microtesla. Il Tribunale di Venezia per es ha accolto la domanda di tutela della salute e del diritto di vivere in un ambiente salubre proposta nel gennaio 2002 da ottantasei cittadini del comune di Scorzè che vivino nelle immediate vicinanze dell’elettrodotto di 220 Kv.

 

Dopo il "sequestro" di 15 tralicci dell'alta tensione, l'inchiesta sull'elettrodotto dell'Ogliastra registra un'altra novità: la Procura di Lanusei ha firmato quattro comunicazioni giudiziarie per abuso d'ufficio. Una riguarderebbe il responsabile del compartimento Enel per la Sardegna. È chiaro che l’opinione pubblica manifesti attualmente notevoli preoccupazioni rispetto ai possibili effetti sanitari nocivi causati dall’esposizione a lungo  o a breve termine alle radiazioni non ionizzanti. 

 

Naturalmente non si è oggi ancora in grado di affermare che ci sia un rapporto diretto tra malattie come il cancro e l’esposizione alle onde elttromagnetiche degli elettrodotti. Studi internazionali sempre più pertinenti e non smentiti affermano però che c`è un nesso oggettivo tra l’esposizione prolungata ai campi magnetici e l’aumento della leucemia dei bambini.   Ora pensiamo al numero dei bambini che vivono in questo quartiere a densa popolazione.

 

Il comitato è cosciente della complessità del problema. L’elettrodotto che attraversa Via Masserenti - Via Prenestina ed il quartiere sorto negli anni settanta con la legge 167 é un esempio lampante di totale mancanza di piano regolatore, di irresponsabilità civica, manifestatasi nel nostro non lontano passato,  di misconoscimento del diritto dei cittadini alla salute e cioè ad un ambiente non inquinato.

 

La maniera con cui il quartiere è sorto sottacendo ai responsabili del piano regolatore la presenza di un grande elettrodotto che attraversava tutta la zona è un esempio di convergenza di interessi di parte  delle ditte costruttrici, del contributo della tacita adesione dell’allora amministrazione di Corato, che ha sottovalutato il pericolo e di silenzi generali.

 

Noi siamo convinti che questa amministrazione sia  in grado di affrontare gradualmente il problema, trovando delle soluzioni che portino alla  diminuzione effettiva del pericolo di inquinamento e di impatto elettromagnetico sui cittadini e soprattutto sui bambini di questo quartiere.

 

  1. Abbiamo già registrato la buona volontà del Comune nell’aver dato ordine - grazie al Commissario Prefettizio -   che venga effettuato il monitoraggio di tutta la zona, come ha suggerito saggiamente la LEGAMBIENTE DI CORATO, che si sta veramente impegnando in questo problema, per portare a conoscenza il grado di inquinamento ambientale nel quale vengono a trovarsi tanti cittadini.

 

  1. Un secondo passo da fare è trovare delle soluzioni praticabili  - ed oggi la tecnica è in grado di poter far questo - per spostare, alzare od interrarare l’elettrodotto di  Via Massarenti - Via Prenestina che passa sopra  centri ricreativi,   case, chiesa, centro commerciale e scuola media superiore.

 

  1. Come Comitato e come cittadini intendiamo inoltre collaborare attivamente con la nuova Ginta Comunale ad elaborare un piano graduale e realistico per la soluzione di questo problema.

 

  1. Intendiamo altresì mettere a disposizione il nostro tempo e le nostre energie, perchè il problema dell’elettrodotto venga visto ed inquadrato in una sensibilità più responsabile per un ambiente non inquinato- ambiente che  favorisca la salute dei cittadini, la loro capacità lavorativa e sociale, ma  anche l’attenzione più vigile al “bene comune”,  alla cura del verde,  della villa comunale e agli altri spazi  sociali esistenti nell’ambiente.

 

Il  Comitato si  augura di  poter discutere  con più concretezza di questo problema in un incontro con Lei.

 

Distinti saluti

 

Il comitato.

 

Vito Di Chio , Vito VENTURA, Michele MINTRONE, Lidia BUCCI, Maria Pia SARDANO, Luigi  LASTELLA, Nicola TARANTINI, Gino BUCCI, Francesco BUCCI, Felice ARDITO, Filippo ARDITO, Pietro SAVINO, Italia VENTURA, Anna Maria TARRICONE

 

Decreto Istitutivo dell'Alta Murgia

 

DECRETO ISTITUTIVO

PARCO NAZIONALE DELL’ALTA MURGIA

5 marzo 2004

 

Art. 1

 

  1. E' istituito il Parco nazionale dell’Alta Murgia.
  2. E' istituito l'Ente parco nazionale dell’Alta Murgia che ha personalità di diritto pubblico ed è sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'ambiente e della.tutela del territorio.
  3. All'Ente parco nazionale dell’Alta Murgia si applicano le disposizioni di cui alla legge 20 marzo 1975, n. 70, trovando collocazione nella tabella IV ad essa allegata.
  4. Il territorio del Parco nazionale dell’Alta Murgia è delimitato, in via definitiva, dalla perimetrazione riportata nella cartografia ufficiale in scala 1:50.000, allegata al presente decreto, del quale costituisce parte integrante, e depositata in originale presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e, in copia conforme, presso la regione Puglia e presso la sede dell'Ente parco nazionale dell’Alta Murgia.
  5. Nel territorio del parco, a decorrere dalla data di pubblicazione del presente decreto e fino all'entrata in vigore del piano del parco, di cui all'articolo 12 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, e successive modificazioni ed integrazioni, si applica, fatte salve le utilizzazioni del territorio medesimo e dello spazio aereo sovrastante per esigenze di carattere militare, direttamente la disciplina di tutela riportata nell'allegato A al presente decreto del quale costituisce parte integrante. Il piano del parco, nell'ambito dei compiti e fini assegnati dalla legge citata, terrà conto di quanto stabilito nel presente decreto.
  6. La pianta organica dell'Ente parco è determinata ed approvata entro sessanta giorni dalla data di insediamento del consiglio direttivo, osservate le procedure di cui all'articolo 6 e seguenti del decreto legislativo del 30 marzo 2001, n. 165.

 

Art. 2

 

  1. Sono organi dell'Ente parco nazionale dell’Alta Murgia:

a)     il presidente;

b)     il consiglio direttivo;

c)     la giunta esecutiva;

d)     il collegio dei revisori dei conti;

e)     la comunità del parco.

 

  1. La nomina degli organi di cui al comma 1 è effettuata secondo le disposizioni e le modalità previste dall'articolo 9, commi 3, 4, 5, 6 e 10 della legge 6 dicembre 1991, n.394, come modificato dall'articolo 2, comma 24, della legge 9 dicembre 1998, n. 426.

 

  1. Il Consiglio direttivo dell'Ente parco dell’Alta Murgia individua all'interno del territorio del parco la sede legale ed amministrativa dell'Ente stesso, entro sessanta giorni dal suo insediamento.

 

  1. L'Ente parco può avvalersi di personale in posizione di comando, nonché di mezzi e strutture messi a disposizione dalla regione, dalle province interessate, dagli enti locali, nonché da altri enti pubblici, secondo le procedure previste dalle vigenti disposizioni di legge.

 

Art. 3

 

  1. Costituiscono entrate dell'Ente parco da destinare al conseguimento dei fini istitutivi:

a)     i contributi ordinari e straordinari dello stato;

b)     i contributi delle regioni e degli enti pubblici;

c)     i finanziamenti concessi dall'Unione europea;

d)     i lasciti, le donazioni e le erogazioni liberali in denaro di cui all'articolo 3 della legge 2 agosto 1982, n. 512, e successive modificazioni ed integrazioni;

e)     eventuali redditi patrimoniali;

f)       i canoni delle concessioni previste dalla legge, i proventi dei diritti di ingresso e di privativa, e le altre entrate derivanti dai servizi resi;

g)     i proventi delle attività commerciali e promozionali;

h)     i proventi delle sanzioni derivanti da inosservanza delle norme regolamentari;

i)        ogni altro provento acquisito in relazione all'attività dell'Ente parco.

  1. I contributi ordinari erogati dallo Stato sono posti a carico dello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.

 

Art. 4

 

  1. Fino alla costituzione degli organi dell'Ente parco di cui all’articolo 2, le autorizzazioni previste nella disciplina di tutela di cui all’allegato A vengono rilasciate dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, sentita la regione Puglia.

 

Art. 5

 

  1. L'Ente parco può avvalersi, previa stipula di apposita convenzione, degli enti strumentali della regione, nonché degli uffici del Corpo forestale dello Stato, per tutte le attività che dovessero rendersi necessarie per il raggiungimento delle finalità dell'area protetta di cui all'articolo 2 dell' allegato A.

 

Art. 6

 

  1. Al fine di favorire il mantenimento e lo sviluppo delle attività agro-silvo-pastorali tradizionali, il recupero dei nuclei rurali e la creazione di nuova occupazione, saranno attivate opportune forme di incentivazione attraverso le concessioni di sovvenzioni a privati ed enti locali, così come previsto dall'articolo 14, comma 3, della legge 6 dicembre 1991, n.394.
  2. A tal fine l’Ente parco, entro sessanta giorni dalla costituzione degli organi, potrà provvedere a trasmettere alla regione uno schema di accordo di programma, ai sensi dell’articolo 1-bis della legge 6 dicembre 1991, n. 394, introdotto dall’articolo 2, comma 22, della legge 9 dicembre 1998, n. 426, finalizzato al raggiungimento degli obiettivi di cui al comma 1 entro i successivi cinque anni.

 

Art. 7

 

  1. Al fine di promuovere ed incentivare le iniziative atte a favorire lo sviluppo economico e sociale delle popolazioni residenti all’interno del parco, l’Ente parco può concedere l'uso del proprio nome e del proprio emblema a servizi e prodotti locali che presentino requisiti di qualità e che soddisfino le finalità istitutive del parco.

 

Art. 8

 

  1. Per quanto non specificato nel presente decreto valgono le disposizioni di cui alla legge 6 dicembre 1991, n.394, e successive modificazioni, nonché, per quanto riguarda le attività istituzionali dell’Amministrazione della Difesa, le disposizioni di cui alla legge 4 febbraio 1963, n. 58, alla legge 24 dicembre 1976, n. 898, e successive modificazioni, e al decreto legislativo 28 novembre 1997, n. 464.

 

Il presente decreto sarà trasmesso alla Corte dei conti per la registrazione e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.

 

 Art. 7

Regime autorizzativo in zona 1

  1. Salvo quanto disposto dai precedenti articoli 3 e 4 sono sottoposti ad autorizzazione dell'Ente parco i seguenti interventi:

a)     interventi di restauro conservativo, di risanamento igienico-edilizio, e di ristrutturazione edilizia finalizzata al riuso dei manufatti esistenti, così come definiti dall'articolo 31 lettere c) e d) della legge 5 agosto 1978 n. 457;

b)     interventi di ampliamento degli edifici rurali esistenti, nella misura massima del 15% della loro superficie utile, previa valutazione e approvazione di apposito Piano di miglioramento aziendale redatto in attuazione degli strumenti di programmazione adottati ai sensi della vigente regolamentazione comunitaria. Dal computo della superficie utile sono escluse le superfici occupate da costruzioni strumentali all’agricoltura (quali costruzioni per la conservazione dei prodotti agricoli, ricoveri per attrezzi e ricoveri per animali). Dovranno essere utilizzate e rispettate le tipologie edilizie, i materiali e le tecnologie costruttive della tradizione storica locale;

c)     i tracciati stradali interpoderali e le nuove piste forestali previste dai piani di  assestamento forestale. E’ vietata in ogni caso la loro impermeabilizzazione.

  1. Ai terreni compresi in zona 1, nei quali alla data del 31 dicembre 2002, siano in atto da un quinquennio, coltivazioni agrarie per le quali le relative trasformazioni del suolo siano state debitamente autorizzate, anche ai sensi dell’articolo 5 del citato D.P.R. n. 357 del 1997, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 8 del presente decreto. Le suddette coltivazioni devono essere rilevate dalle ortofotocarte AIMA/AGEA nel periodo 1997-2002.
  2. In caso di contestazione in ordine all’effettiva presenza di coltivazioni agrarie e della relativa autorizzazione regionale resta a carico del diretto interessato l’onere di presentazione di documentazione probatoria.

 

Art.8

Regime autorizzativo in zona 2

  1. Salvo quanto disposto dai precedenti articoli 3 e 5, sono sottoposti ad autorizzazione dell’Ente parco i seguenti interventi di rilevante trasformazione del territorio:

a)     l’apertura di nuove strade destinate ad attività di fruizione naturalistica, i tracciati stradali interpoderali, nonché di quelle che, alla data di entrata in vigore delle presenti norme, siano già state autorizzate da parte delle competenti autorità e per le quali non sia stato dato inizio ai lavori;

b)     gli impianti e le opere tecnologiche;

c)     le opere di bonifica e trasformazione agraria, favorendo, previa intesa con gli assessorati all’agricoltura e all’ambiente della regione Puglia, le produzioni agricole e zootecniche tipiche del luogo con particolare riguardo a quelle con denominazione d’origine;

d)     gli interventi di manutenzione straordinaria, di restauro conservativo, di risanamento igienico-edilizio e di ristrutturazione edilizia finalizzati al riuso dei manufatti esistenti, così come definiti dall'articolo 31 lettere b), c) e d) della legge 5 agosto 1978 n. 457;

e)     la realizzazione di nuovi edifici ad uso abitativo o connessi ad attività agricole su suoli di cui si abbia la disponibilità ed in assenza, sugli stessi suoli e alla data di entrata in vigore delle presenti norme, di edifici preesistenti da ristrutturare allo scopo. Dovranno essere utilizzate e rispettate le tipologie edilizie, i materiali e le tecnologie costruttive della tradizione storica locale;

f)       la realizzazione degli edifici per i quali, pur in presenza di approvazione definitiva alla data di entrata in vigore delle presenti norme, non si sia ancora proceduto all’avvio dei lavori;

g)     il cambio di destinazione d’uso degli edifici esistenti alla data di entrata in vigore delle presenti norme;

h)     gli interventi di ampliamento degli edifici rurali esistenti nella misura massima del 20% della loro superficie utile previa valutazione e approvazione di apposito Piano di miglioramento aziendale redatto in attuazione degli strumenti di programmazione adottati ai sensi della vigente regolamentazione comunitaria, nel rispetto delle tipologie edilizie, dei materiali e delle tecnologie costruttive della tradizione storica locale.

 

Art. 9

Regime autorizzativo in zona 3

  1. Nelle aree di zona 3 di cui al precedente articolo 1, in quanto aree di connessione ecologica e di sviluppo tra il Parco nazionale dell’Alta Murgia e il territorio esterno, si applicano comunque le disposizioni contenute negli strumenti urbanistici vigenti. Tutte le opere di trasformazione del territorio sono consentite previo parere obbligatorio dell’Ente parco. Sono fatti salvi gli accordi di programma stipulati ai sensi della normativa regionale vigente in materia e per i quali siano stati emanati, alla data di entrata in vigore delle presenti norme, i relativi decreti da parte della regione.
  2. E’ consentito svolgere l’attività agricola secondo le metodiche in uso all’entrata in vigore delle presenti norme, nonché le attività di manutenzione del territorio.
  3. La regione Puglia, d’intesa con l’Ente parco, adotta un programma di riconversione verso metodi di coltivazione biologica.
  4. L’Ente parco e la regione Puglia elaborano e sottoscrivono accordi ed intese finalizzati a rendere compatibili con le finalità del Parco le attività presenti in tale zona, anche mediante l’utilizzo di risorse finanziarie derivanti da piani e programmi regionali, nazionali comunitari con l’applicazione di quanto disposto dall’articolo 7 della legge 6 dicembre 1991 n. 394, e successive modificazioni.
  5. Per quanto non espressamente qui disciplinato si rinvia alle disposizioni generali del presente decreto.

 

Art. 10

Modalità di richiesta e di rilascio delle autorizzazioni

  1. L’eventuale rilascio di autorizzazioni da parte dell’Ente parco, per quanto disposto dai precedenti articoli 6, 7 e 8, è subordinato al rispetto, da parte del richiedente, delle seguenti condizioni:

a)     gli elaborati tecnici relativi alle istanze prodotte dovranno essere corredati di tutte le autorizzazioni, i nulla osta, i pareri, comprese le eventuali prescrizioni, da parte degli Enti istituzionalmente competenti per territorio secondo quanto richiesto dalla normativa vigente;

b)     l’autorizzazione è rilasciata entro sessanta giorni dalla ricezione della documentazione richiesta, completa in ogni sua parte; tale termine potrà essere prorogato, per una sola volta, di trenta giorni per necessità di istruttoria.

 

Art 11

Sorveglianza

La sorveglianza del territorio di cui all’ articolo 1 del presente decreto è affidata al Corpo forestale dello Stato, nei modi previsti dall'articolo 21 della legge 6 dicembre 1991, n. 394

 

Allegato A

(previsto dall’articolo 1, comma 5 del Decreto Istitutivo)

 

Disciplina di tutela del parco nazionale dell’Alta Murgia

 

Art. 1.

Zonizzazione interna

  1. L’area del Parco nazionale dell’Alta Murgia, così come delimitata nella cartografia allegata, è suddivisa nelle seguenti zone:
  1. zona 1 - di rilevante interesse naturalistico, paesaggistico e storico-culturale, caratterizzata da prevalente paesaggio “steppico” e rupicolo;
  2. zona 2 - di valore naturalistico, paesaggistico e storico culturale, caratterizzata da prevalente paesaggio agricolo;
  3. zona 3 - di connessione ecologica e di promozione di attività economiche compatibili con le finalità del parco. In tale zona sono comprese le aree interessate da accordi di programma, ai sensi delle norme regionali in materia.

 

Art. 2.

Tutela e promozione per lo sviluppo sostenibile

  1. Nell’ambito del territorio di cui al precedente art. 1, sono assicurate:

a)      la conservazione di specie animali e vegetali, di associazioni vegetali, con particolare riguardo alle direttive 79/409/CEE (recepita con la legge 11 febbraio 1992, n. 157 e con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 27 settembre 1997, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 30 ottobre 1997, concernente la conservazione degli uccelli selvatici), nonché 92/43/CEE (recepita con decreto del Presidente della Repubblica n. 357 dell’8 settembre 1997, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche), di singolarità geologiche, di formazioni paleontologiche, di comunità biologiche, di biotopi, di processi naturali, di equilibri idraulici ed idrogeologici;

b)      la salvaguardia e la valorizzazione di valori paesaggistici del territorio, di testimonianze storiche dell’antropizzazione, di manufatti e sistemi insediativi rurali, di paesaggi;

c)      l’applicazione di metodi di gestione e di restauro ambientale idonei a mantenere un’integrazione tra uomo e ambiente naturale, anche mediante la salvaguardia dei valori antropologici, archeologici, storici e architettonici e delle attività agro-silvo-pastorali e tradizionali;

d)      la promozione di attività di educazione e di formazione ambientale, di ricerca scientifica, nonché di attività ricreative compatibili;

e)      la difesa e la ricostituzione degli equilibri idraulici e idrogeologici, superficiali e sotterranei;

f)       lo sviluppo delle attività produttive agro-silvo-pastorali e agrituristiche e la valorizzazione dei prodotti tipici.

 

Art. 3.

Divieti generali

  1. Sono vietati su tutto il territorio del parco nazionale dell’Alta Murgia le seguenti attività:

a)     la cattura, l’uccisione, il danneggiamento e il disturbo delle specie animali, ad eccezione di quanto eseguito per fini di ricerca e di studio previa autorizzazione dell’Ente parco. Sono comunque consentiti prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi, necessari per ricomporre squilibri ecologici accertati dall’Ente parco, sulla base di appositi piani di intervento approvati dall’Ente stesso;

b)     la raccolta e il danneggiamento della flora spontanea ad eccezione di quanto eseguito per fini di ricerca e di studio previa autorizzazione dell’Ente parco. Sono consentiti, anche in attuazione dell’articolo 6, comma 1, lettera b), della legge 23 agosto 1993, n. 352 (Norme quadro in materia di raccolta e commercializzazione di funghi epigei freschi e conservati), il pascolo e la raccolta di funghi e di altri prodotti della vegetazione spontanea, nel rispetto delle vigenti normative, degli usi civici e delle consuetudini locali;

c)     l’introduzione in ambiente naturale non recintato di specie e popolazioni estranee alla flora e alla fauna autoctona;

d)     il prelievo di materiali di rilevante interesse geologico e paleontologico, ad eccezione di quello eseguito, per fini di ricerca e di studio, previa autorizzazione dell’Ente parco;

e)     l’apertura e l’esercizio di cave, miniere e discariche. La prosecuzione fino ad esaurimento delle autorizzazioni dell’attività di cave, miniere e discariche in esercizio e regolarmente autorizzate, è condizionata al rispetto di specifici piani di coltivazione, dismissione e recupero autorizzati dall’Ente parco;

f)       la realizzazione di impianti e di opere tecnologiche che alterino la morfologia del suolo e del paesaggio e gli equilibri ecologici, salvo quanto disposto dall’articolo 8, comma 1, lettera b);

g)     l’introduzione, da parte di privati, di armi, esplosivi o di qualsiasi mezzo di distruzione o di cattura se non autorizzata, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 21, comma 1, lettera g), della legge 11 febbraio 1992, n. 157;

h)     il campeggio al di fuori delle aree destinate a tale scopo e appositamente attrezzate; è consentito il campeggio temporaneo appositamente autorizzato in base alla normativa vigente;

i)        il sorvolo non autorizzato dalle competenti autorità, secondo quanto espressamente regolamentato dalle leggi sulla disciplina del volo;

  1. l) il transito dei mezzi motorizzati fuori dalle strade statali, provinciali, comunali, vicinali e dalle piste forestali gravate da servizi di pubblico passaggio, e privato, fatta eccezione per i mezzi di servizio e per quelli accessori alle attività agro-silvo-pastorali;
  2. m) la costruzione di qualsiasi tipo di recinzione, ad eccezione di quelle necessarie alla sicurezza delle costruzioni, degli impianti tecnologici e di quelle accessorie alle attività agro-silvo-pastorali, purché realizzate secondo tipologie e materiali tradizionali, e delle delimitazioni temporanee a protezione delle attività zootecniche;
  3. n) lo svolgimento di attività pubblicitarie al di fuori dei centri urbani, non autorizzate dall’Ente parco;
  4. o) la trasformazione dei terreni coperti da vegetazione spontanea, in particolare mediante interventi di dissodamento e scarificatura del suolo e frantumazione meccanica delle rocce calcaree;
  5. p) la trasformazione e la manomissione delle manifestazioni carsiche di superficie e sotterranee;
  6. q) il taglio dei boschi, degli alberi isolati e della vegetazione spontanea ad eccezione di quanto stabilito dall’articolo 6 comma 1, lettera c);
  7. r) la demolizione, il danneggiamento, l’asportazione di parti e l’alterazione tipologica di manufatti rurali appartenenti alla tradizione storica locale.

 

Art. 4

Divieti in zona 1

  1. Nelle aree di zona 1 di cui al precedente articolo 1, oltre ai divieti generali di cui all’articolo 3, vigono i seguenti ulteriori divieti:

a)     la realizzazione di nuovi edifici e il cambio di destinazione d’uso di quelli esistenti. Resta ferma la possibilità di eseguire gli interventi di cui all’articolo 31, comma 1, lettere a) e b), della legge 5 agosto 1978, n.457;

b)     lo svolgimento di attività sportive con veicoli a motore;

c)     la realizzazione di opere che comportino la modificazione del regime naturale delle acque, fatte salve le opere necessarie alla difesa del suolo e alla sicurezza delle popolazioni;

d)     l’apposizione di cartelli e manufatti pubblicitari di qualunque natura e scopo, con esclusione della segnaletica stradale di cui alla normativa vigente e di quella informativa del parco;

e)     la realizzazione di nuove opere di mobilità e di nuovi tracciati stradali, ad eccezione di quanto stabilito dall’articolo 7, comma 1, lettera c);

f)       l’utilizzo di fitofarmaci e pesticidi. Per le colture in atto la regione Puglia, d’intesa con l’Ente parco, entro due anni dall’istituzione dell’Ente stesso, redigerà un programma di riconversione verso metodi di coltivazione biologica;

g)     l’interruzione e l’impermeabilizzazione dei tracciati viari rurali esistenti.

 

Art. 5

Divieti in zona 2

  1. Nelle aree di zona 2 di cui al precedente articolo 1, oltre ai divieti generali di cui all’articolo 3, vigono i seguenti ulteriori divieti:

a)     l’apertura di nuovi tracciati stradali, ad eccezione di quanto stabilito dall’articolo 8, comma 1, lettera a);

b)     la realizzazione di nuovi edifici, salvo quanto disposto all’articolo 8, comma 1, lettera e) e lettera f);

 

Art. 6

Regime autorizzativo generale

  1. Sono sottoposti all’autorizzazione dell’Ente parco:

a)     le opere che comportano modifiche al regime delle acque finalizzate alla difesa del suolo o alla sicurezza delle popolazioni;

b)     le opere di mobilità di cui all’articolo 7, comma 1, lettera c) e all’articolo 8, comma 1, lettera a);

c)     gli interventi selvicolturali tendenti a favorire il mantenimento e il ripristino dei boschi e della restante vegetazione arborea e arbustiva, nonché i rimboschimenti da effettuarsi in ogni caso con l’impiego di specie autoctone;

d)     i piani forestali;

  1. L’adozione dei nuovi strumenti urbanistici generali e le loro varianti generali o parziali, per la parte ricadente nel territorio del parco, deve essere preceduta dal parere obbligatorio dell’Ente parco.
  2. Tutti gli interventi e le opere da realizzare nei siti proposti e nelle zone designate ai sensi delle citate direttive comunitarie 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979 e 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, e dei rispettivi, citati atti di recepimento, compresi in tutto o in parte nei confini del parco nazionale dell’Alta Murgia sono sottoposti alla necessaria valutazione d’incidenza ai sensi dell’articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica dell’8 settembre 1997, n. 357.
  3. Per gli interventi di rilevante trasformazione del territorio che siano in corso d’opera alla data di entrata in vigore delle presenti norme, i soggetti titolari delle opere trasmettono all’Ente parco, entro e non oltre trenta giorni dalla data di entrata in vigore delle presenti disposizioni, secondo quanto disposto dal successivo articolo 10, l’elenco delle opere accompagnato da una relazione dettagliata sullo stato dei lavori e contenente le indicazioni del luogo ove sono depositati i relativi progetti esecutivi. In caso di mancata comunicazione delle informazioni predette, l’Ente parco provvederà ad ordinare, in via cautelativa, la sospensione dei lavori. Decorsi novanta giorni dalla data di ricevimento di tale documentazione, il parere si intende espresso favorevolmente.

Luisa Piccarreta

Luisa Piccarreta, nel corso della sua vita schiva e riservata, non ha potuto nascondere i fenomeni straordinari che s' incrementavano intorno a lei. Eppure, è stata per sessanta anni in un letto , con sofferenze fisiche , morali e spirituali, con la guida di diversi qualificati uomini di Chiesa come San  P. Annibale Maria Di  Francia, fondatore dei Padri Rogazionisti, delle Figlie del Divino Zelo e da San Pio da Pietralcina.

Ha vissuto nella sua casa, sita a Corato in Via Nazario Sauro, mettendo per iscritto tutto ciò che il Signore le andava rivelando sin dal 1899, sotto la guida di don Gennaro Di Gennaro, confessore nominato dal vescovo dell' epoca Monsignor Tommaso De Stefano.

Luisa Piccarreta non era una "teologa", ma una mistica. Era un'illetterata, alla stregua di Caterina da Siena, quindi, la produzione letteraria composta da trentasei volumi, compilati in quaranta anni di relazione mistica con Cristo, nei quali si può certamente comprendere l' azione di Dio in lei.

"Luisa la santa", così, era soprannominata dal popolo, è stata la grande messaggera della Volontà di Dio (il suo motto, infatti, era: "In Voluntate Deo: Deo gratias ") e la sua grandezza è stata nel fatto che non si è mai ribellata a questa volontà, specie quando l'ha voluta crocifissa in un letto ed anche da forti prove morali e spirituali, vivendo con Cristo, fino in fondo la Volontà del Padre.

L' impegno attuale per favorire la causa di beatificazione della Serva di Dio è di tutta la Comunità, consiste nella preparazione della "edizione tipica" dei diari e di tutti gli scritti, editi ed inediti per poter meglio valutare la ricchezza e lo spessore spirituale di Luisa Piccarreta. Precedentemente, San  Annibale Maria Di Francia aveva esaminato diciannove libri della mistica coratina, ma, da allora, non si è avuta più la possibilità di approfondire gli aspetti mistico–teologici.

Pertanto, è stata creata un' équipe internazionale di sacerdoti, teologi e laici per uno studio approfondito della spiritualità della Divina Volontà, ma anche con il difficile compito di risolvere le questioni delle traduzioni nelle principali lingue.

Nuova Disciplina Inceneritori

 
Nuova Disciplina Inceneritori
 
L’incenerimento dei rifiuti costituisce senza dubbio uno dei temi di maggiore complessità
 

NUOVA DISCIPLINA AUTORIZZATORIA DEGLI IMPIANTI DI INCENERIMENTO DEI RIFIUTI

 

SOMMARIO: 1. Premessa: l’inquadramento del tema. - 2. Distinzioni tra le tipologie di impianti: le nozioni di “incenerimento” e “coincenerimento”. - 3. Il procedimento relativo ai nuovi impianti; caratteri generali dell’autorizzazione. – 4. (segue). Il caso di impianti soggetti alla normativa IPPC e i rapporti con il procedimento di VIA - 5. Gli impianti non rientranti nell’ambito di applicazione della normativa IPPC. - 6. Il regime transitorio applicabile agli impianti esistenti. – 7. (segue). Gli impianti di incenerimento soggetti a procedure semplificate; in particolare il problema della c.d. VIA “postuma”.

 

 

 

  1. Premessa: l’inquadramento del tema.

 

L’incenerimento dei rifiuti costituisce – nell’ambito della normativa ambientale – senza dubbio uno dei temi di maggiore complessità; in particolare la realizzazione e gestione degli impianti comporta necessariamente la valutazione e quindi il coordinamento e la ponderazione di diversi interessi ambientali.

Questi ineriscono non solo – com’è evidente - la gestione dei rifiuti (sotto il profilo dello smaltimento e del recupero) ma anche altri ambiti settoriali ambientali quali la tutela della qualità dell’aria e delle acque nonché la valutazione di impatto ambientale[1].

Inoltre va considerato che si tratta di impianti astrattamente in grado di produrre energia rinnovabile e quindi – per tale ragione - la loro realizzazione fruisce in tal senso di incentivi anche sul piano delle procedure amministrative[2].

Si tratta quindi di un tema che presenta notevole problematicità anche sul piano dell’approccio giuridico, del resto non vi è dubbio che una delle difficoltà di fondo della legislazione ambientale è proprio quella che deriva dalla complessità strutturale dell’ambiente come oggetto di tutela[3] e il caso degli inceneritori ne costituisce un esempio emblematico.

Di conseguenza sul piano del regime amministrativo degli impianti (in particolare quello autorizzatorio) si pone la necessità di individuare un opportuno coordinamento tra le diverse discipline di settore ambientali, le quali, come ha tra l’altro più volte avuto modo di osservare la giurisprudenza, nel caso della realizzazione degli impianti di incenerimento non si “assorbono” ma in linea di principio si integrano e completano vicendevolmente[4].

Sotto questo profilo, il recente d.lgs. 11 maggio 2005 n. 133 di “attuazione della direttiva 2000/76/CE in materia incenerimento dei rifiuti”[5], al di là delle specifiche problematiche che solleva (alcune delle quali si avranno modo di affrontare nel presente scritto), ha senz’altro il merito di tentare di disciplinare in modo organico la realizzazione di tutti gli impianti (sia di incenerimento che di coincenerimento)[6] nonché le diverse fasi dell’attività di incenerimento a partire dal momento della ricezione dei rifiuti dell’impianto fino allo smaltimento delle sostanze residue.

Ciò allo scopo di dare maggiore chiarezza alla normativa e quindi in ultima analisi di facilitarne l’osservanza[7].

 

2. Distinzioni tra le tipologie di impianti: le nozioni di “incenerimento” e “coincenerimento”.

 

In relazione al regime autorizzatorio degli impianti sono due le distinzioni di fondo operate dal legislatore che sono basilari per una corretta ricostruzione dell’istituto: quella concernente la natura dell’attività svolta (“incenerimento” o “coincenerimento”) e quella relativa alla tipologia di impianto nel quale viene svolta l’attività (“nuovo” o “esistente”).

Riguardo alla prima distinzione mentre l’art. 2, comma 1°, lett. d), del d.lgs. n. 133 del 2005 definisce genericamente l’impianto di incenerimento: «qualsiasi unità e attrezzatura tecnica, fissa o mobile, destinata al trattamento termico dei rifiuti, con o senza recupero del calore prodotto dalla combustione», la successiva lett. e), considera impianto di coincenerimento “qualsiasi impianto, fisso o mobile, la cui funzione principale consiste nella produzione di energia o di materiali e che utilizzano i rifiuti come combustibile normale o accessorio o in cui i rifiuti sono sottoposti a trattamento termico ai fini dello smaltimento”.

Peraltro, in quest’ultimo caso, com’è del tutto ovvio, “se il coincenerimento avviene in modo che la funzione dell’impianto non consiste nella produzione di energia o di materiali, bensi’ nel trattamento termico ai fini dello smaltimento dei rifiuti, l’impianto è considerato un impianto di incenerimento ai sensi della lettera d)”.

Per individuare le ipotesi in cui si è in presenza di un impianto di coincenerimento (e non di mero incenerimento) occorrerà quindi in via prioritaria individuare se la produzione di energia o di materiali costituisce la “funzione principale” dell’impianto.

Tale situazione, secondo quanto ha stabilito dalla Corte di Giustizia[8], si ha in presenza di tre condizioni: 1) l’obiettivo principale deve essere costituito dalla produzione di energia; 2) l’energia generata dalla combustione dei rifiuti e recuperata deve essere superiore a quella consumata durante il processo di combustione e una parte dell’eccedenza deve essere effettivamente utilizzata (ciò può avvenire immediatamente in forma di calore prodotto dall’incenerimento o, in seguito a trasformazione, in forma di elettricità); 3) la maggior parte dei rifiuti deve essere consumata durante l’operazione e la maggior parte dell’energia sviluppata deve essere recuperata o utilizzata.

Si tratta quindi di criteri basati sui caratteri essenzialmente funzionali dell’impianto; del resto, ha precisato la stessa Corte[9], criteri più “formalistici” quali il potere calorifico dei rifiuti, la percentuale delle sostanza nocive provenienti dai rifiuti inceneriti o il fatto che rifiuti possano o meno essere mescolati non possono essere presi in considerazione a tal fine.

 

3. Il procedimento relativo ai nuovi impianti; caratteri generali dell’autorizzazione.

 

Come si è detto la seconda fondamentale distinzione attiene alla tipologia di impianto (“nuovo” o “esistente”). In particolare il regime autorizzatorio per i nuovi impianti[10] previsto dal d.lgs. n. 133 del 2005 è contenuto, in via principale, negli articoli 4 e 5 riguardanti, rispettivamente, la realizzazione e gestione degli impianti di incenerimento e di coincenerimento.

Il principio di base sul quale si regge l’intera disciplina autorizzatoria è quello che è stato definito dalla dottrina del “consenso amministrativo preliminare”[11] (applicazione a sua volta del più ampio principio di prevenzione di cui all’art. 174 del Trattato UE), secondo il quale per tutti i progetti di attività o di impianti che possano avere una influenza importante sull’ambiente il soggetto interessato deve presentare all’autorità competente una dettagliata richiesta per ottenere un atto di consenso preliminare ed esplicito.

La stessa Corte di Giustizia, tra l’altro, com’è noto, in una importante decisione[12], ha osservato che “il rifiuto, la concessione o la revoca delle autorizzazioni devono risultare da un provvedimento esplicito e seguire regole procedurali precise, nelle quali venga rispettato un determinato numero di condizioni necessarie, dalle quali sorgono diritti e obblighi in capo ai singoli. Ne consegue che un’autorizzazione tacita non può considerarsi compatibile con le prescrizioni della direttiva, tanto più che una siffatta autorizzazione non consente la realizzazione di indagini preliminari, né di indagini successive e di controlli”.

Del resto le affermazioni della Corte trovano conferma nell’art. 2, comma 1°, lett. p), del medesimo d.lgs. il quale definisce il termine “autorizzazione” come “la decisione o più decisioni scritte da parte dell’autorità competente che autorizzano l’esercizio dell’impianto a determinate condizioni, che devono garantire che l’impianto sia conforme ai requisiti del presente decreto”.

Tutti i nuovi impianti quindi, per poter essere realizzati, devono necessariamente essere autorizzati attraverso uno o più provvedimenti amministrativi scritti, viceversa la tipologia dei provvedimenti da richiedersi necessariamente dipende a seconda della natura e/o delle dimensioni dell’impianto stesso.

 

4. (segue). Il caso di impianti soggetti alla normativa IPPC e i rapporti con il procedimento di VIA.

 

Nell’ipotesi in cui l’impianto di in/coincenerimento sia assoggettato alla normativa IPPC di cui al d.lgs. 18 febbraio 2005, n. 59 (par. 5.1, 5.2 e 5.3 dell’allegato I di quest’ultimo decreto)[13] dovrà necessariamente richiedersi l’autorizzazione integrata ambientale (AIA) di cui all’art. 7 dello stesso d.lgs. n. 59 del 2005.

Quest’ultima – com’è noto - produce un effetto sostitutivo rispetto alle altre autorizzazioni ambientali (art. 5, comma 14°) tra le quali in particolare - ai fini della presente trattazione - rilevano quelle relative alla realizzazione ed esercizio degli impianti di smaltimento e recupero dei rifiuti (art. 27 ss. d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22), delle emissioni in atmosfera (d.p.r. 24 maggio 1988, n. 203) e degli scarichi idrici (d.lgs. 11 maggio 1999, n. 152)[14].

Si tratta peraltro di un effetto sostitutivo parziale in quanto il suddetto effetto non si produce rispetto ad altri provvedimenti autorizzatori quali quello concernente la normativa sui rischi di incidente rilevanti (d.lgs. 17 agosto 1999, n. 334), l’emissione dai gas ad “effetto serra” (direttiva 2003/87/CE e relativi provvedimenti di attuazione) e soprattutto la valutazione di impatto ambientale (direttive 85/337/CEE e 97/11/CE e relativi provvedimenti di attuazione), che - se previsti dalle specifiche normative di riferimento - dovranno essere comunque richiesti in aggiunta all’AIA

In particolare con riferimento ai rapporti tra i procedimenti di VIA e IPPC la scelta del legislatore statale non si è orientata nel senso di seguire la tecnica della c.d. “joint implementation” (caratterizzata dalla unificazione e dall’assorbimento delle procedure) ma piuttosto di favorire quella della applicazione cumulativa tendente al coordinamento delle stesse[15].

Infatti nel d.lgs. n. 59 del 2005 la VIA è configurata come procedimento che necessariamente precede l’IPPC; da un lato i termini per la conclusione del procedimento rimangono sospesi fino alla conclusione del procedimento di VIA, dall’altro l’AIA “non può essere comunque rilasciata prima della conclusione del procedimento di valutazione di impatto ambientale” (art. 5, comma 12°).

E’ quindi evidente che i due procedimenti si pongono in un rapporto di coordinamento e in posizione cronologicamente differenziata, nel senso che l’IPPC è comunque preceduta (e condizionata) dalla VIA.

Si tratta quindi di un rapporto di presupposizione in quanto l’IPPC presuppone il previo espletamento (positivo) della VIA, senza la quale non può essere conclusa.

La scelta operata dal legislatore, sotto questo aspetto, pare opportuna soprattutto considerata la diversa natura dei giudizi che si pongono alla base delle due valutazioni. Mentre infatti l’IPPC nasce da una esigenza di semplificazione e di coordinamento tra le diverse procedure concernenti le diverse forme di inquinamento ambientali, viceversa la VIA ha carattere più complesso nel senso che ricostruisce l’ambiente come “ambiente di vita dell’uomo” nel quale sono presenti sia profili strettamente naturalistici che inerenti l’uomo e la collettività (come “i beni materiali e il patrimonio culturale”)[16].

Del resto anche la legge delega ambientale (l. 15 dicembre 2004, n. 308), pur rimanendo su un piano di estrema genericità, prevede proprio la necessità di che siano adottate “misure di coordinamento tra le procedure di VIA e quelle di IPPC nel caso di impianti sottoposti ad entrambe le procedure, ad fine di evitare duplicazioni e sovrapposizioni” (art. 1, comma 9°, lett. f)[17].

In ogni caso va detto che la scelta di un determinato sistema di semplificazione procedimentale piuttosto che di un altro viene demandata alla valutazione discrezionale dei singoli Stati membri, in quanto l’art. 2 par. 2 bis della direttiva 85/337/CEE (inserito con l’art. 1 della direttiva 97/11/CE) dispone che gli Stati membri possano (e non debbano) prevedere una procedura unica per soddisfare i requisiti di quest’ultima direttiva e di quella 96/61/CE.

In questo senso soluzioni diverse emergono dalla legislazione regionale; ad esempio la l.r. Emilia Romagna 11 ottobre 2004, n. 21 stabilisce che “nel caso in cui il progetto di un nuovo impianto sia assoggettato alla procedura di valutazione di impatto ambientale (VIA) . . . la procedura di VIA ricomprende e sostituisce la autorizzazione integrata ambientale . .”.

Di conseguenza, pur se nell’ambito dei principi di semplificazione enunciati dalla Corte di Giustizia (sentenza 28 febbaio 1991), in astratto sono ipotizzabili modelli procedimentali diversi che dipendono dalle specifiche scelte del legislatore.

 

5. Gli impianti non rientranti nell’ambito di applicazione della normativa IPPC.

 

Nel caso di impianti non rientranti nell’ambito di applicazione della normativa IPPC, così come evidenziato anche dalla Corte di Cassazione[18], in linea di principio dovranno essere richieste le specifiche autorizzazioni previste dalle diverse discipline di settore, prime tra tutte quelle concernenti la gestione dei rifiuti (art. 27 ss. d.lgs. n. 22 del 1997), le emissioni atmosferiche (art. 7 d.p.r. n. 203 del 1988) e gli scarichi idrici industriali (art. 45 d.lgs. n. 152 del 1999).

A questo proposito il d.lgs. n. 133 del 2005 viene a modificare in senso sostanziale la materia stabilendo nuove norme tecniche e valori limite di emissione in atmosfera e nelle acque di scarico sia per gli impianti di incenerimento (allegato 1) che per quelli di coincenerimento (allegato 2).

Una delle scelte di fondo operate dalla direttiva 2000/76/CEE si basa sul fatto che la distinzione tra rifiuti pericolosi e non pericolosi va fondata sulle diverse caratteristiche delle sostanze prima del trattamento e non sulle diverse emissioni provocate. Ne consegue l’applicazione alle attività di incenerimento e di coincenerimento dei medesimi valori di emissione, pur nell’ambito di tecniche, condizioni e misure di controllo diverse e più rigorose rispetto alla previdente disciplina.

Sul piano generale il suddetto d.lgs. può quindi essere configurato come una disciplina speciale di settore che si pone in funzione integrativa (o derogatoria a seconda dei casi) rispetto alle normativa generale relativa alla realizzazione ed esercizio degli impianti di smaltimento (nel caso dell’incenerimento) o di recupero (in quello di coincenerimento) di cui agli artt. 27 ss. del d.lgs. n. 22 del 1997.

Per gli impianti di incenerimento le suddette condizioni integrative al rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione dell’impianto sono contenute nell’art. 4 commi 3° e 4°.

Si tratta - com’è evidente - di una serie di dati tecnici relativi alla tipologie, alle quantità e alle modalità di incenerimento dei rifiuti trattati nell’impianto (si pensi, ad esempio, alle categorie di rifiuti che possono essere trattate nell’impianto, con l’indicazione dei relativi codice dell’elenco europeo dei rifiuti oppure i valori limite di emissione per ogni singolo inquinante).

Più complesso è il caso di degli impianti di coincenerimento.

Infatti occorre considerare se si è in presenza di un impianto rientrante nell’ambito di applicazione dell’art 17, comma 1°, d.lgs. n. 387 del 2003[19], in quanto, in tale caso, l’art. 5, comma 3°, del d.lgs. n. 133 del 2005 rinvia espressamente al procedimento di rilascio dell’”autorizzazione unica” previsto dall’art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003[20].

Si tratta di un procedimento semplificato di competenza della Regione (o di un soggetto da essa delegato) e articolato sul modello della conferenza dei servizi di cui agli artt. 14 segg. della l. 7 agosto 1990, n. 241 al quale partecipano tutte le amministrazioni interessate.

Viceversa nel caso in cui l’impianto di coincenerimento non rientri nell’ambito di applicazione del citato art. 17 del d.lgs n. 387 del 2003, alla stessa stregua degli impianti di incenerimento, sarà in linea di principio applicabile la disciplina generale dell’artt. 27 segg. del d.lgs. n. 22 del 1997 integrata dalle condizioni e criteri tecnici indicati nell’art. 5, commi 6°, 7° del d.lgs. n. 133 del 2005 (potenza tecnica nominale di ciascuna apparecchiatura dell’impianto in cui sono alimentati i rifiuti da incenerire, categorie e quantitativi di rifiuti che possono essere trattate nell’impianto, valori limite di emissione per ogni singolo inquinante, etc.).

Può quindi notarsi che per i nuovi impianti di coincenerimento non sussiste comunque la possibilità di avvalersi delle procedure semplificate di cui agli artt. 31 e 33 del d.lgs. n. 22 del 1997, le quali rimangono possibili solamente in relazione agli impianti esistenti (sul punto si veda il paragrafo successivo).

Sotto questo profilo, come si è detto, il legislatore ha inteso dare piena attuazione al principio comunitario del “consenso amministrativo preliminare” eliminando di regola (salvo il caso degli impianti esistenti) ogni possibile forma di autorizzazione tacita.

 

6. Il regime transitorio applicabile agli impianti esistenti.

 

 

Uno degli aspetti di maggiore complessità della disciplina introdotta dal d.lgs. n. 133 del 2005 è certamente quello costituito dal regime transitorio applicabile agli impianti esistenti.

Innanzi tutto ai sensi dell’art. 2, comma 1°, lett f), impianto “esistente” viene definito “un impianto per il quale l’autorizzazione all’esercizio, in conformità al decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 è stata rilasciata ovvero la comunicazione di cui di cui all’articolo 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 è stata effettuata prima della data di entrata in vigore del presente decreto, ovvero per il quale, in conformità del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, la richiesta di autorizzazione all’esercizio sia stata presentata all’autorità competente entro il 28 dicembre 2002, purchè in entrambi casi l’impianto sia messo in funzione entro il 28 dicembre 2004”.

Secondo quanto previsto dall’art. 21, comma 1°, gli impianti esistenti al momento di entrata in vigore del suddetto decreto avranno tempo di adeguarsi alle nuove disposizioni entro il 28 dicembre 2005 (così del resto, in modo tassativo prevede anche l’art. 20, par. 1, della direttiva 2000/76/CE).

Fino al suddetto termine, conformemente al principio tempus regit actum, si applicano le norme tecniche previgenti (art. 21, comma 9°).

Tale norma costituisce una evidente applicazione del c.d. principio di “gradualità”[21], secondo il quale gli impianti in esercizio (o comunque autorizzati secondo un determinato regime giuridico) hanno la facoltà di continuare a svolgere la propria attività per un determinato arco temporale. Com’è evidente la ratio del principio va ricercata nell’esigenza di bilanciare l’interesse alla tutela ambientale con quello, di tipo economico, derivante dalla necessità di impedire che una determinata attività debba essere interrotta per conformarsi alla nuova disciplina intervenuta.

Tornando all’analisi del d.lgs. n. 133 del 2005 ovviamente l’obbligo di adeguamento sussiste in capo al gestore indipendentemente dal fatto che si tratti di impianti soggetti a disciplina autorizzatoria ordinaria (art. 28 d.lgs. n. 22 del 1997) ovvero semplificata attraverso la comunicazione di inizio attività (art. 31 e 33 del d.lgs. n. 22 del 1997).

A questi ultimi, qualora non siano assoggettati alla normativa IPPC, non utilizzino rifiuti pericolosi e non optino per il regime autorizzatorio ordinario (che quindi in questo caso ha carattere facoltativo) possono comunque essere applicate le procedure semplificate di cui al decreto “Ronchi” (art. 21, comma 4°), anche se comunque la normativa in questione pone alcuni aspetti significativi di differenziazione rispetto alla procedura generale di cui all’art. 33 del d.lgs. n. 22 del 1997.

Non appare agevole cogliere la ratio complessiva di tali disposizioni anche se nel loro complesso, pur nell’ambito della previsione di termini più brevi rispetto a quelli ordinari, sembrano mirare a garantire un maggiore controllo (tecnico e economico) da parte dell’amministrazione su tali impianti vista loro potenziale pericolosità sul piano ambientale.

In primo luogo, infatti, viene previsto per l’avvio dell’attività di coincenerimento un termine più breve (sessanta giorni) rispetto all’ordinario termine (novanta giorni). Dall’altro però l’avvio delle attività è comunque subordinato all’effettuazione di una ispezione preventiva da parte della provincia competente (da effettuarsi entro sessanta giorni dalla comunicazione ma non viene specificata la natura giuridica di tale termine); infine per l’avvio dell’attività la regione può comunque chiedere al gestore una adeguata garanzia finanziaria a sua favore nella misura definita dalla regione stessa e proporzionata alla capacità massima di coincenerimento dei rifiuti (art. 21, comma 4°).

 

7. (segue). Gli impianti di incenerimento soggetti a procedure semplificate; in particolare il problema della c.d. VIA “postuma”.

 

Per gli impianti di incenerimento esistenti operanti in base alle procedure semplificate di cui agli artt. 31 e 33 del d.lgs. n. 22 del 1997, è viceversa previsto un regime transitorio diverso.

Infatti l’art. 21, comma 7°, stabilisce l’obbligo – a carico del gestore dell’impianto - di presentare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della nuova normativa uno studio di impatto ambientale contenente una serie di informazioni concernenti essenzialmente la descrizione dell’impianto, i relativi effetti sul piano ambientale e l’indicazione delle misure previste per eliminare o ridurre i suddetti effetti.

Non vi è dubbio che il documento in questione - anche se con contenuti semplificati – è il medesimo previsto a carico del proponente nell’ambito del procedimento di VIA[22].

Ciò appare rilevante sotto due distinti profili.

In primo luogo il successivo comma 8° prevede che in caso di esito favorevole dell’esame dello studio di impatto ambientale (anche se non viene indicata l’amministrazione a ciò competente) debba essere rilasciata l’autorizzazione ai sensi dell’articolo 4.

Dato che quest’ultima - come si è visto - viene emanata mediante un atto scritto, è evidente che gli impianti in questione non potranno più continuare a fruire del regime semplificato di cui agli artt. 31 e 33 del d.lgs. n. 22 del 1997.

Viceversa, pur non essendo presa in esame dal legislatore l’ipotesi in cui vi sia un esito sfavorevole dell’esame dello studio di impatto di ambientale da parte dell’amministrazione, applicando estensivamente i principi relativi al procedimento di VIA si può comunque ritenere che ciò comporti l’impossibilità di proseguire l’attività di incenerimento.

In secondo luogo la norma in questione rende possibile (anzi obbligatoria) la c.d. VIA “postuma”, cioè successiva rispetto alla realizzazione dell’impianto.

La questione del possibile assoggettamento al procedimento di VIA di un’opera successivamente alla sua realizzazione è stato recentemente affrontato dal Consiglio di Stato[23], il quale proprio con riferimento ad un impianto di smaltimento dei rifiuti, in termini generali ha osservato che “se è razionale sottrarre alla previetà della procedura di VIA quei rinnovi di autorizzazioni all’esercizio relativi a impianti autorizzati sulla previa valutazione di impatto ambientale, non altrettanto può dirsi per il rinnovo delle autorizzazioni la cui compatibilità ambientale, in sede di autorizzazione dell’impianto o di autorizzazione all’esercizio degli stessi non sia stata previamente accertata; in questi casi infatti occorre necessariamente individuare un momento in cui, entrata in vigore la disciplina di cui al decreto legislativo n. 22 del 1997, si proceda per la prima volta all’assoggettamento alla VIA dell’attività di smaltimento dei rifiuti”.

In altri termini, conclude il Consiglio di Stato “quella verifica di impatto ambientale non effettuata in sede di prima applicazione deve necessariamente precedere il rinnovo della prima autorizzazione successiva all’entrata in vigore del decreto legislativo potendo trovare piena applicazione il regime ivi previsto solo per le successive autorizzazioni, sul presupposto che sia intervenuta una previa verifica di impatto ambientale ai sensi del decreto medesimo.

Si tratta peraltro di un orientamento che sotto alcuni profili pone delle indubbie perplessità.

In particolare esso appare in contrasto con la stessa natura giuridica della VIA come atto preventivo volto a verificare gli effetti ambientali di un progetto di una determinata opera.

Ciò emerge in modo chiaro anche dall’art. 2 della direttiva 85/337/CEE ove – nel descrivere i caratteri del giudizio di VIA - fa riferimento alla “natura”, alle “dimensioni” dell’opera nonché alla sua “ubicazione”, il che rende illogico un giudizio successivo alla già avvenuta realizzazione della stessa.

Tra l’altro, com’è noto, l’effetto proprio di un giudizio negativo di VIA è quello di impedire la realizzazione dell’opera, e ciò – evidentemente – non appare possibile nel caso di VIA “postuma”, potendo, al più, portare alla chiusura dell’impianto (ma non alla sua “eliminazione” fisica)[24].

Del resto la stessa Corte di Giustizia[25] ha affermato che la valutazione in questione deve essere effettuata “in linea di principio, non appena sia possibile individuare e valutare tutti gli effetti che il progetto può avere sull’ambiente”, quindi comunque in una fase anteriore rispetto a quella della sua realizzazione.

 

 

 

NOTE

 

 

 

[1] In termini generali, come scritto organico relativo alla previgente disciplina si veda F.GIAMPIETRO, Incenerimento dei rifiuti con recupero energetico. Profili normativi, Milano, 2000.

[2] Ciò discende in particolare dall’art. 17, comma 1°, del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (“Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia rinnovabile prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità”) secondo il quale “ . . sono ammessi a beneficiare del regime riservato alle fonti energetiche rinnovabili i rifiuti, ivi compresa, anche tramite il ricorso a misure promozionali, la frazione non biodegradabile e i combustibili derivati dai rifiuti, di cui ai decreti previsti dagli articoli 31 e 33 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 92 e dalle norme tecniche UNI 9903-1”. Viceversa il successivo comma esclude dal regime delle energie rinnovabili: “a) le fonti assimilate alle fonti rinnovabili di cui all’articolo 1, comma 3°, della l. 9 gennaio 1991, n. 10; b) i beni, i prodotti e le sostanze derivanti da processi il cui scopo primario sia la produzione di vettori energetici o di energia; c) i prodotti energetici che non rispettano le caratteristiche definite dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 8 marzo 2002 e successive modificazioni e integrazioni”. Sul punto si rinvia a P.GIAMPIETRO, Valorizzazione dei rifiuti a fini energetici, in www.lexitalia.it.

[3] In questo senso G.CAIA, La gestione dell’ambiente: principi di semplificazione e di coordinamento, in Grassi – Cecchetti – Andronio, Ambiente e diritto, Vol. I, Firenze, 1999, p. 237.

[4] Cassazione penale, sez. III, 8 febbraio 1999, in Riv.pen., 1999, p. 562; 29 febbraio 2000, inedita e 10 giugno 2002, inedita. In particolare in quest’ultima si è affermato che gli inceneritori che comportano emissioni in atmosfera sono soggetti sia alle disposizioni di cui al d.lgs. n. 22 del 1997 che a quelle del d.p.r. n. 203 del 1988, atteso che la normativa comunitaria in materia di inquinamento atmosferico completa e non assorbe quella sui rifiuti

[5] Approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 29 aprile 2005 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 163 del 15 luglio 2005 (supplemento ordinario n. 122/L). Peraltro la Corte di Giustizia aveva condannato l’Italia per mancato recepimento della direttiva nei tempi previsti: sentenza 2 dicembre 2004 (causa C – 97/04), in www.giuristiambientali.it.

[6] Ad esclusione di quelli previsti all’art. 3 (impianti che trattano esclusivamente rifiuti vegetali derivanti da attività agricole e forestali; rifiuti vegetali derivanti dalle industrie alimentari di trasformazione se l’energia elettrica è recuperata, etc.).

[7] In questo senso p. 22 dei considerando della direttiva 76/2000/CE.

[8] Sentenza 13 febbraio 2003 (causa C-228/00) ripresa negli stessi termini dalla sentenza 14 ottobre 2004 (causa C – 113/02). Entrambe le sentenze sono reperibili sul sito www.curia.eu.int/

[9] Si rinvia in tal senso alla precedente nota n. 8.

[10] La definizione di “nuovo” impianto (art. 2, comma 1°, lett. g) si ricava a contrario rispetto a quella di impianto esistente (lett.f); sul punto si veda il paragrafo n. 7.

[11] P. DELL’ANNO, Principi di diritto ambientale europeo e nazionale, Milano, 2004, p. 140.

[12] 28 febbraio 1991 (causa C-360/87), in Riv.it.dir.pubbl.com., 1992, p. 901 ss.

[13] Il par. 5.1 ricomprende “gli impianti per l’eliminazione o il recupero di rifiuti pericolosi, della lista di cui all’art. 1, paragrafo 4 della direttiva 91/689/CEE quali definiti nella allegati II A e II B (operazioni R1, R5, R6, R8 e R9) della direttiva 75/442/CEE e della direttiva 75/439/CEE del Consiglio del 16 luglio 1975, concernente l’eliminazione degli oli usati, con capacità di oltre 10 tonnellate al giorno”; il par. 5.2 “gli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani quali definiti nella direttiva 89/369/CEE del Consiglio dell’8 giugno 1989, concernente la prevenzione dell’inquinamento atmosferico provocato dai nuovi impianti di incenerimento dei rifiuti urbani e della direttiva 89/429/CEE del Consiglio, del 21 giugno 1989, concernente la riduzione dell’inquinamento atmosferico provocato dagli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani, con capacità superiore a 3 tonnellate all’ora”; il par. 5.3 “gli impianti per l’eliminazione dei rifiuti non pericolosi quali definiti nell’allegato 11 A della direttiva 75/442/CEE ai punti D8, D9 con capacità superiore a 50 tonnellate al giorno”.

[14] L’elenco delle autorizzazioni sostituite dall’AIA è previsto nell’allegato II, si tratta peraltro di una indicazione di carattere esemplificativo e non tassativo.

[15] Sul punto per maggiori apprendimenti si rinvia a F.FONDERICO, Prospettive di riordino della procedura di valutazione di impatto ambientale e dell’autorizzazione integrata ambientale (IPPC), in www.giuristiambientali.it., pag. 13.

[16] In questo senso G.CAIA, cit., p. 237.

[17] In questo senso osserva F.FONDERICO, Prospettive di riordino della procedura di valutazione di impatto ambientale e dell’autorizzazione integrata ambientale (IPPC), cit., pag. 14, potrebbe essere ad esempio utile applicare il principio di economia degli oneri documentali, nonché quei modelli di recepimento nei quali le due procedure parallele condividono la fase di partecipazione ovvero qualora disposte in serie (in base al progressivo approfondimento della progettazione), lo svolgimento della fase della fase di partecipazione presupposta (VIA) esonera da tale adempimento nel corso della procedura presupponente (IPPC). Sulla delega ambientale, in generale, si veda: F.GIAMPIETRO, Delega al Governo per il T.U. ambientale: una corsa (utile?) contro il tempo, in Ambiente, 2005, p. 105 ss. E F.FONDERICO, “La muraglia e i libri”: legge delega, testi unici e codificazione del diritto ambientale, in Giorn. Dir.amm., 2005, p. 585 ss.

[18] Sul punto si veda la precedente nota n. 4.

[19] Si vada la nota n. 2

[20] Va peraltro precisato che il comma 8° del citato art. 12 esclude dall’ambito di applicazione della disciplina autorizzatoria in quanto considerato attività ad inquinamento atmosferico poco significativo (ai senso dell’articolo 2, comma 1°, d.p.r. 24 maggio 1988, n. 203): “gli impianti di produzione di energia elettrica di potenza complessiva non superiore a 3 MW termici, sempre che ubicati all’interno di impianti di smaltimento rifiuti, alimentati da gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas, nel rispetto delle norme tecniche e prescrizioni specifiche adottate ai sensi dei commi 1, 2 e 3 dell’articolo 31 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22”.

[21] In questo senso P.DELL’ANNO, cit. pag. 146.

[22] Con riferimento al procedimento di VIA statale i contenuti del SIA (studio di impatto ambientale) sono previsti negli artt. 2 ss del d.p.c.m. 27 dicembre 1988 e comprendono: il quadro di riferimento programmatico, progettuale e ambientale.

[23] Sez. IV, 31 agosto 2004, n. 5715, in www.giuristiambientali.it

[24] Sul punto si rinvia alle osservazioni di B. DA CASTROVALVA, “Su una fattispecie di VIA postuma”, in www.giuristiambientali.it

[25] Sentenza 7 gennaio 2004 (causa C – 201/02), in www.curia.eu.int/

Tipi di Miele

 
Tipi di Miele
Tipologie principali e caratteristiche fondamentali del mieleù

I Monoflora sono composti solo da un tipo di fiore e sono diversi l'uno dall'altro, vediamone insieme i più comuni. Gli aspetti più comuni sono la densità , i colore e il sapere viene dato dalla tipo di polline da cui è ottenuto il miele. Ogni miele ha una caratteristica propria, di gusto anche con un proprio retrogusto.

 

  • Il miele di castagno è tra i più intensi di sapore e contiene sali minerali doppi rispetto agli altri; è un ottimo ricostituente.
  • Il miele di acacia è di colore chiaro trasparente, è molto fluido, dolce e con una leggera nota speziata; ha un effetto leggermente lassativo, disintossicante ed è ottimo contro la bronchite.
  • Il miele d'eucalipto è di color verde-oro, viscoso e ha gusto balsamico; è delizioso d'estate e ottimo in inverno per combattere la congestione delle vie dell'intestino e delle vie respiratorie con un'azione lenitivo, disinfettante e può essere utilizzato contro la febbre perché è il più ricco di enzimi.
  • Il miele di tiglio è biancastro, liquido e ha un aroma floreale; ideale contro raffreddori, mal di gola, raucedine e per il suo effetto antalgico naturale, è utile a chi è nervoso.
  • Il miele di abete ha colore  nerastro, con sapore aromatico ma gradevole; è idoneo come antisettico delle vie respiratorie e della febbre.
  • Il miele di biancospino è di color ambrato con sapore dolce, granuloso; è chiamato anche il "miele dei cardiaci" ed è efficace anche per l'insonnia.
  • Il miele di timo ha un colore ambrato scuro con gusto pronunciato ed è appropriato come disinfettante di bronchi e intestino.
  • Il miele agli agrumi,, ha colore chiaro con aroma pungente ed è ideale per dolcificare tisane calmanti o per l'insonnia ed emollienti; mescolato con tè ghiacciato è un  dissetante,aumentando il potere dolcificante.

L' Idromele  è una bevanda antica ottenuta fermentando il miele con acqua, spezie, vino, mosto o liquori. Ci sono anche liquori ottenuti fermentando alcool e miele, unendo anche aromi naturali.

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