Territorio Territorio

Corato e antichità

Riportiamoci con la mente a duemila anni fa, nella Apulia, provincia romana, verdeggiante di ulivi. A quei tempi la Via Appia, partendo da Roma, attraversava in diagonale il tratto sud – orientale delle nostre Murge e arrivava sino alla lontana Brundisium (Brindisi). Nel 61 d.C. a Brindisi sbarcò S. Pietro, che con pochi seguaci veniva ad annunciare la Buona Novella. La lunga strada, dopo Egnatia e Polinea (Polignano), cominciava ad inerpicarsi e ad addentrarsi tra le ondulate e basse colline della Murgia apula, discostandosi dal mare Adriatico. Dopo Barium, povero isolato villaggio di pescatori, Pietro forse ha intravisto un agglomerato quadrangolare di case, cintato di robuste mura intorno e con quattro torri angolari a guardia. Di questo primitivo periodo di vita agreste non si hanno notizie storiche certe e precise, mancano i reperti che attestino l’esistenza di una "urbs" romana. In seguito alle incursioni saracene vennero erette torri di guardia o di avvistamento lungo la via per Tarenum (Trani). Gli Arabi o Saraceni invasero e conquistarono la Sicilia, la Calabria e la Puglia, ma alla fine furono ricacciati in mare dai Normanni.  Questi uomini, alti di statura, con lunghi capelli e baffi biondi, occhi cerulei come il mare, nel 1042 conquistarono dopo un lungo assedio la città di Tarenum, guidati dal conte Drogone (parente del famoso re Roberto il "Giuscardo"). Questi aveva un fratello, di nome Pietro, che con tutto il suo seguito e le sue forze militari, senza colpo ferire, occupò quelle poche casupole di contadini e pastori che trovò addossate alla collina premurgiana. Pietro ordinò di edificare le torri e le mura di cinta di Corato, a difesa sua e dei cittadini, e fece tracciare le due strade principali: le attuali via Duomo e Via Roma.

La Chiesetta di San Vito

La Chiesetta di San Vito de Templo è uno dei monumenti più importanti di Corato.     Riportiamo uno studio dell’ingegnere Francesco Faretra Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.  che ha fatto sulla testimonianza storico- architettonico della chiesetta,che è una traccia tangibile del protoromanico pugliese.         L'architettura   La chiesa di San Vito, originariamente extra-moenia, ma attualmente soffocata tra mediocri costruzioni recenti, è ubicata in un'area di espansione ottocentesca dell'abitato di Corato . La pianta del piccolo edificio è costituita da un'aula rettangolare (misurante m.6,50 x 10,56), orientata, absidata e suddivisa in tre spazi coperti da due volte a botte inframezzate da una cupola. La definizione del braccio trasverso ridotto all'interno dei due semplici arconi di sostegno alla cupola, è sottolineato chiaramente all'esterno da un corpo di fabbrica saliente, al centro delle falde laterali, coperto da una breve falda di tetto.   L'edificio si eleva per mezzo del tiburio quadrato che copre la cupola ; l'altezza al centro è di m.8,10; mentre in riferimento ai corpi laterali è di m.5,40; i quattro spioventi del tetto piramidale sono rivestiti di "chiancarelle ", lastre di pietra ricavate a "spacco di cava", mentre sulle volte a botte insiste una copertura due falde ove alle antiche "chiancarelle" sono stati sostituiti moderni coppi in cotto.La copertura dell'abside è semi-conica, con manto di "chiancarelle".   Un piccolo campanile a vela è collocato sul vertice della facciata anteriore .   Alla copertura si accede attraverso un foro praticato nella volta adiacente alla controfacciata e protetto da un abbaino.     Sull'omonima piazzetta si affaccia il lato Sud , con porta di accesso realizzata nel tardo '800; la facciata con l'originario portale d'entrata (m.1,30 x 2,50) si trova sul lato Est ; su quest'ultimafacciata si trova un pi ccolo rosone, privo di elementi scultorei, che costituisce l'unica fonte di luce per l'aula sacra.     Di una terza piccola porta, attualmente tompagnata, si oserva l'arco centinato in prossimità dell'abside, sul lato Nord , in corrispondenza internamente di una delle nicchie scavate nello spessore del muro d'ambito.     Le due volte a botte scaricano, infatti, su quattro nicchie (profonde m.0,65, ampie m.1,80 e alte m. 2,75), così come la cupola scarica su quattro arconi, poggianti su pilastri, evidenziati da una semplice cornice a mo' di capitello.   Le superfici murarie interne sono in pietra, ma in passato erano state intonacate.   Il pavimento è in lastroni di pietra locale.   L'abside era ingabbiata all'esterno in una costruzione privata, dalla quale emerge il tetto semi-conico; accoglie internamente l'altare tardo-seicentesco di mediocre fattura, sormontato da una custodia lignea contenente la statua del Santo Martire Vito . La luce dell'abside è di m.3,00, mentre la profondità è di m.1,55.   L'intero edificio è privo di elementi scultorei.   Esternamente l'unica sobria decorazione è data dalla cornice in aggetto, costituita da una semplice fila di lastre in pietra, sulla facciata Nord, segnanti la linea d'imposta delle volte a botte; mentre su quella a Sud è stata sostituita da una cornice in gesso.   L'elemento decorativo che più caratterizza questo edificio, ponendolo in relazione con altri ugualmente databili attorno all'anno 1000, è la cornice a denti di sega che cinge il perimetro del tiburio al di sotto della falda di tetto a piramide.   La chiesa di San Vito è simile ad altre, distribuite con leggere varianti nell'agro barese:   chiese di S. Croce e di S. Angelo a Bitonto; chiesa di S. Basilio a Giovinazzo; chiesa di Ognissanti a Bisceglie; chiesa di S. Domenico a Bitetto. Possiamo affermare che gli edifici considerati sono tutti a croce immissa o greca-contratta. Scendendo ad analizzare più attentamente i particolari del tipo iconografico, c'è da chiedersi la ragione dell'essenzialità strutturale, della nitidezza di composizione, della mancanza di decorazioni, che non è da confondere con il carattere rurale di certi edifici, poiché il taglio della pietra e la perfetta simmetria delle parti dimostra una certa perizia e un gusto estetico preciso, "lapidario".   La coincidenza di forma di questi edifici di piccole dimensioni potrebbe essere motivata, secondo la professoressa Capozza, oltre che dalla diffusione di un modello considerato valido, dalla necessità che fossero "segno", cioè facilmente riconoscibili per i viandanti in quei secoli travagliati.   Anche l'essenzialità costruttiva e la sobrietà decorativa di questi edifici può essere intesa e giustificata poiché San Bernardo fu l'autore della Regola Cistercense e della Carta Caritatis, che imponeva ai monaci, nella costruzione di chiese ed abbazie, l'uniformità e l'essenzialità, in obbedienza al voto di povertà, opponendosi in questo alle scelte dei Cluniacensi, i quali ritenevano che la bellezza creata dall'artista orientava lo spirito verso il Creatore.       Notizie storico-documentarie   La chiesa di san Vito occupa un ruolo documentario della storia del tempo in cui fu edificata. Ma quale tempo? In quale contesto storico si inserisce?   La prima testimonianza dell’esistenza a Corato di "San Vito de Templo" è presente in un atto notarile, riportato nel Codice Diplomatico Barese, datato 1206 e redatto a Corato, essendo re Federico II di Svevia. In questo documento viene citato un "ortale sancti Vito de Templo".   Con il nome di "templi S. Viti de Caurato" viene nuovamente citato in un altro documento del 1276.   Rilevata l’esistenza nel 1206, non è arbitrario supporre che l’edificazione del tempio dovette avvenire nel XII secolo, o come propone la professoressa Belli D’Elia, tra la fine del XI e l’inizio del nuovo secolo.   L’origine del tempio dedicato al giovane Santo martire e guerriero Vito è strettamente legata ai primi anni di storia di Corato.   L’atto di fabbricazione della città è riportato dal Codice Diplomatico, attraverso i versi dello storico – poeta della corte normanna Guglielmo d’Apulia, che nel II libro del poemetto intitolato "Gesta Roberti Wiscardi" aveva detto:   "Pietro … fondò Andria, e poi edificò Corato e Bisceglie, Barletta edificò sulla riva del mare …". Era l’anno 1046.   Sebbene lo storico Gay propende a limitare l’opera del conte normanno Pietro alla fortificazione di un centro preesistente, è solo dopo il 1046 che Corato viene citata in atti notarili e documenti che ne attestano il ruolo giuridico.   Così Corato viene elencata nell’anno 1063 tra le città affidate alla giurisdizione territoriale dell’arcivescovo di Trani, Bisanzio.   A questo periodo, durante il quale la chiesa di Corato era accomunata sotto la comune protezione del vescovo Bisanzio a quella di Polignano e S. Vito dei Normanni, potrebbe risalire la dedicazione della piccola chiesa in esame, poiché lo stesso Santo era venerato in quelle due città del Sud barese.   Ma in quale contesto urbano si inserì l’edificio?   In riferimento al nome dato alla città dal fondatore, Guglielmo il Normanno precisa che fu chiamata "Quadrata urbs" per la forma data alla città.   La conferma di ciò è nello stemma di Corato, uno scudo pressappoco quadrato con un cuore al centro e quattro torri nelle sezioni angolari, simboleggiante la forma stessa dell’area urbana, suddivisa in quattro quartieri da due strade che si incriciavano al centro, ove fu edificata la chiesa Matrice, dedicata a S. Maria Maggiore.   La città era custodita e fortificata ai quattro angoli da quattro torri, cinta da mura che si aprivano al territorio circostante per mezzo di quattro porte. L’arteria viaria più importante doveva essere Via Roma , poiché collegava al di là delle due porte, poste alle sue estremità, i due bracci della Appia Traiana, che, provenendo da Roma, permetteva ai pellegrini di recarsi a Brindisi, porto d’imbarco per l’Oriente.   I committenti, che fecero edificare la chiesa, non a caso scelsero quel sito, poiché la strada sulla quale sorse, era prossima sia alla porta di accesso alla città, sia alla Via Traiana; essi intendevano probabilmente permettere ai viandanti, che percorrevano quella importante arteria viaria, di trovare ospitalità e accoglienza.   I Normanni, diventati "la spada della Chiesa" per aver sottratto la Puglia al dominio politico dell’Impero Romano d’Oriente, divennero i committenti di palazzi, castelli e chiese. Tuttavia essi non furono portatori di una loro cultura, ma piuttosto assimilarono la civiltà locale, che era stata investita nei secoli da varie dominazioni (Ostrogoti, Arabi, Longobardi, Franchi, Bizantini).   Nell’Ottobre del 1099 il papa Urbano II riunì a Bari un sinodo universale, cui parteciparono 185 vescovi. Il Pontefice per giungere a Bari, proveniente da Roma, dovette con il suo seguito percorrere necessariamente la via Appia Traiana e toccare lungo il suo tragitto la città di Caurato.   Lo stesso Urbano II nel 1096 aveva rivolto a Clermont – Ferrand in Alvernia il famoso appello a partire per la Terra Santa.   I primi gruppi "crociati" erano partiti a ondate, male armati e privi di organizzazione; successivamente cominciarono a muoversi i primi contingenti, guidati dai nomi più illustri della cristianità del tempo.   Per scortare e proteggere i pellegrini che si recavano nei Luoghi Santi furono fondati gli ordini cosiddetti "militari":     Ordine del Tempio (o cavalieri templari), che ben presto divenne il corpo scelto degli eserciti crociati;     Ordine dell’Ospedale di S.Giovanni di Gerusalemme (o cavalieri gerosolimitani) o Ospitalieri, più tardi di Rodi, indi di Malta), che si consacrò alle cure dei viaggiatori sani e malati, in partenza o di ritorno dall’Oriente;   Ordine Teutonico, dedito prima all’assistenza ospedaliera, poi a mansioni belliche.   In tutta Europa essi fondarono rapidamente una rete di residenze, chiamate "commende".   Soprattutto la Puglia fu sede di tali commende per la sua posizione geografica che la rende da sempre "ponte" tra Oriente e Occidente.   La posizione della chiesa di San Vito in relazione alla via Appia Traiana probabilmente attirò l’attenzione dei Templari, spingendoli ad acquistare la chiesetta, così come fecero nel XII cesolo per tante altre chiese delle città limitrofe.   Da qualche tempo la chiesetta viene utilizzata dai locali membri dell' Ordine del S. Sepolcro per i loro mensili incontri di preghiera.         Il degrado prima del restauro   L'edificio presentava alcuni dissesti statici dovuti a vetustà, ad interventi non corretti e, forse, anche a scosse telluriche. Il dissesto più evidente era quello della facciata (causato dalle spinte delle volte a botte), sulla quale erano presenti due lesioni simmetriche di rotazione delle masse murarie laterali in fuori in direzione trasversale. A questa si combinava l’accentuata rotazione della parte centrale verso l’esterno in direzione assiale, accentuato forse con la costruzione del campanile. Il tiburio presentava lesioni verticali in mezzeria, più evidenti sul lato Sud.   All'interno si riscontravano alcune lesioni lungo la chiave delle volte a botte e sulla cupola. Altre fessurazioni si riscontravano sugli angoli tra i muri longitudinali ed il muro di prospetto. Era evidente il degrado dei giunti tra i conci, completamente privi di malta ed interessati da vegetazione spontanea.   Un degrado notevole era rappresentato dal quadro umido. La zona dove sono presenti le chiancarelle, liberata dalla copertura con boiacca di cemento, era soggetta a sconnessioni per effetto di vegetazione spontanea. Molte lastre presentavano fenomeni di sfaldamento. Anche nelle zone coperte da coppi si riscontravano rotture e sconnessioni degli elementi. Questa situazione di degrado era aggravata dall’umidità ascendente sui pavimenti e nelle zone basse dei muri d’ambito, prodotta dal poco efficiente smaltimento delle acque superficiali.   Altro aspetto del degrado era quello estetico, prodotto dalle manomissioni e dalle aggiunte tarde fatte senza alcun rispetto del carattere dell’edificio. Vanno considerate tali le ristrutturazioni ottocentesche dei tetti e delle volte a botte ed i tompagni delle due porte medievali archivoltate.                 Restauro e consolidamento   Una attenta riflessione sui valori formali e sulle necessità tecniche del restauro hanno portato ad una proposta progettuale che ha prodotto un cauto intervento di ripristino delle coperture con i materiali e le disposizioni originarie.   Nella fase di smontaggio del manto di copertura è stato recuperato tutto il materiale riutilizzabile.   L'attuale manto di copertura è in materiale lapideo, ottenuto utilizzando il materiale esistente in situ (rimontato nella stessa posizione), ed integrato con materiale recuperato nello smontaggio dei tetti a manto di tegole. Altre integrazioni sono state eseguite con lastre del tutto simili a quelle esistenti, estratte dalle cave del territorio di Trani e Bisceglie. Le modalità di esecuzione del ripristino sono state concordate con i tecnici della Soprintendenza. Per quanto concerne l'esterno si è provveduto alla pulizia dei paramenti, all'estirpazione delle erbe ed alla accurata sigillatura dei giunti.   Per quanto concerne l'interno, le superfici murarie sono state liberate dall'intonaco, pulite ed i paramenti sono stati stilati.   Per eliminare l'umidità ascendente il pavimento è stato smontato per la realizzazione di un vespaio. L'umidità proveniente dal piazzale è stata allontanata con un'opera di drenaggio intorno a tutto l'edificio.   A completamento del lavoro è stato eseguito un portoncino a due ante in legno di rovere sull'ingresso Ovest, mentre quello a Sud è stato restaurato.   La zona absidale è stata liberata dalle superfetazioni che la occultavano.   Il consolidamento generalizzato ha avuto per oggetto le murature, in fondazione ed in elevazione; la facciata occidentale ha richiesto un intervento di perforazioni armate , per contrastare la spinta della volta e per ricostruire la coesione strutturale.   Sul campanile a vela si sono impiegate armature verticali, collegate in sommità da un cordolo. Altre perforazioni sono state eseguite sul tamburo (per realizzare una cerchiatura a diversi livelli), sull'abside e sul muro di fondo, al fine di migliorare le connessioni strutturali.   Il consolidamento delle volte è stato eseguito mediante controvolte estradossali in calcestruzzo alleggerito armato, spillate alla struttura sottostante. Le controvolte sono state racchiuse nei cordoli in c.a. collocati al colmo o in aderenza delle murature alle quali sono stati ancorati mediante perforazioni armate.     Il progetto di restauro e di consolidamento è stato redatto dall'architetto Angelo Ambrosi e dagli ingegneri Gianluigi Sylos Labini e Luigi Nigro. Un' ultima cosa resta ancora da fare: la sistemazione e valorizzazione della piazzetta antistante la chiesa.   Victor Hugo sosteneva che esistono due tipi di libri: quelli fatti con la carta e quelli fatti con le pietre. Se e' vero che tutti sappiamo utilizzare i primi, dobbiamo cominciare, una volta per tutte, a "leggere" anche i secondi, ovvero a sviluppare la nostra sensibilita' verso l'architettura. Se cio' avverra', il futuro delle prossime generazioni non potra' che essere roseo!             San Vito La Passio leggendaria del VII secolo narra che Vito era nato in una ricca famiglia di Mazara del Vall che lo convertirono al cristianesimo o. Rimasto orfano della madre, fu affidato alla nutrice Crescenzia e poi al pedagogo Modesto. Quando nel 303 d.C. scoppia la persecuzione di Diocleziano, Vito è già celebre a Mazara per i tanti miracoli compiuti. Il padre, non riuscendo farlo abiurare, lo denunzia al preside Valeriano che ordina di arrestarlo e torturarlo. Siccome le torture non ottengono alcun risultato, lo rinvia a casa dove il padre tenta di farlo sedurre da alcune belle donnine compiacenti; ma Vito è incorruttibile. Quando ormai Valeriano sta per arrestarlo nuovamente, un angelo appare a Modesto ordinandogli di partire su una barca con il fanciullo e la nutrice. Durante il viaggio sino alla foce del Sele, nella Campania meridionale, un'aquila porta loro acqua e cibo. Inoltrandosi dal Cilento nella Lucania, Vito opera nuovi miracoli finché, rintracciato dai soldati di Diocleziano, viene condotto a Roma dove libera dal demonio un figlio dell'imperatore. Ma come ricompensa Diocleziano ordina di torturarlo perché si rifiuta di sacrificare agli dei. Lo immergono nella pece ardente da dove esce illeso; liberano un leone feroce che diventa improvvisamente mansueto. Infine lo sospendono insieme con Crescenzia e Modesto a un cavalletto. Mentre le loro ossa vengono straziate, la terra comincia a tremare, gli idoli cadono a terra. E’ il finimondo: Diocleziano fugge spaventato mentre gli angeli trasportano i tre martiri presso il fiume Sele dove essi finalmente muoiono, sfiniti dalle torture, il 15 giugno 303. Vito aveva, secondo la tradizione, dodici anni, ma qualche agiografo gliene attribuisce diciassette. Il martirio in Lucania è l'unica notizia attendibile perché nel Martirologio Gerominiano alla data del 15 giugno si legge "In Lucania Viti". Tutto il resto è frutto di leggende non controllabili storicamente, compresa la nascita in Sicilia. Nel medioevo fu annoverato tra i santi ausiliatori e invocato per parecchie malattie, come la corea o ballo di San Vito, l’epilessia, l’isteria, le ossessioni e l’idrofobia, forse perché aveva guarito il figlio indemoniato dell’imperatore. Vito, il cui nome latino Vitus, forse un derivato da vita, aveva negli ambienti cristiani del IV secolo un valore augurale di salvezza spirituale, giungeva alla straordinaria cifra di 34 patronati: proteggeva, fra gli altri, farmacisti, birrai, albergatori, bottai e calderai, muti e sordi, vignaioli, attori e ballerini. Lo si invocava persino contro fulmini e saette. Generalmente lo si rappresentava nelle sembianze di un fanciullo con vesti monacali oppure in vesti rinascimentali con ampio mantello e mazzocchio sul capo. Nell’area germanica è invece veniva rappresentato spesso come un fanciullo che emerge da una caldaia posata sul fuoco ardente oppure con la palma del martirio.     © 2005-2020 Francesco Faretra   Links sul romanico pugliese   http://it.wikipedia.org/wiki/Romanico_pugliese http://www.pugliaturistica.com/itinerari_prov.bari.htm http://www.reciproca.it/Contributi/Marchesiello_PF/introduzione.htm http://www.storiamedievale.net/siticonsigliati.htm http://www.touringclub.com/ITA/viaggiatori/itinerari/elenco.aspx?IDStagione=3&IDArea=4 http://www.newadvent.org/cathen/05607b.htm (in inglese) http://rilievo.poliba.it/studenti/aa00/samarelli/cupole/cupole.html http://www.mondimedievali.net/Edifici/Puglia.htm http://www.pugliaimperiale.com/turismo/wheretogo/territorio/content-art-16-lang-it.htm

Colt e Swinburne

Il tema del viaggio è un tema che attraversa tutto il Settecento, specialmente nella trattazione letteraria e, quindi, anche romanzesca. Gli scrittori inglesi, seguendo la scia di un impero che si stava formando ed articolando in tutte le parti del mondo, si sono lasciati suggestionare ed influenzare dai classici latini per stilare i propri componimenti. Tuttavia, ad esempio, sir Richard Hoare Colt nel 1789 ha compiuto un viaggio nel regno delle due Sicilie, seguendo le descrizioni del poeta latino Orazio, facendo affascinare dai luoghi e dagli ambienti; Henry Swinburne, insieme alla moglie Martha Baker, hanno visitato il Meridione tra il 1777 e il 1779, redigendo un accurato resoconto di ciò che hanno visto, visitato, sentito e i loro commenti dei luoghi, dei personaggi. IL VIAGGIO La Puglia è percorsa seguendo l’itinerario classico delle vie romane, vistando anche diversi centri della Terra di Bari: Barletta, Trani, Bisceglie, Molfetta, Bitonto, Ruvo, Corato, Castel del Monte, Barletta.  "All’interno è magnifica, anche se scarsamente abitata. I numerosi cambiamenti di governo, la cattiva amministrazione e la decadenza del commercio hanno distrutto la prosperità di Barletta. Le sue strade sono ampie e ben pavimentate; le case alte e massicce, costruite con pietre ben tagliate.   I propri palazzi e i monumenti ( si devono ) alla politica dei re aragonesi; Ferdinando I si fece incoronare nel Duomo di Barletta. Nella piazza del mercato sorge una colossale statua di bronz l’imperatore Eraclio. La cittadella è spaziosa e domina il porto che è un vero labirinto di moli irregolari.   I prodotti esportati sono sale, grano, mandorle e liquirizia". Swinburne riporta anche da dove ha origine il nome della città di Barletta: " …da una torre o osteria che aveva come insegna un barile" (Barletta). Quando le città di Canne e Canosa decaddero, lo sviluppo dei commerci sospinse la popolazione verso la costa. Nel XV secolo, Barletta era considerata una delle quattro fortezze più forti di Italia.   Fu data in ipoteca ai Veneziani da Ferdinando II e ripresa da Consalvo da Cordova, che riunì qui le forze ed oppose le sue prime resistenze ai francesi nel 1503". Swinburne, uscendo da Barletta, descrive il suo percorso verso Trani: "…la strada è una delle più aspre, corre in parte attraversi i vigneti, su stretti sentieri chiusi fra muriccioli di pietre a secco".   Torva nel corso del suo tragitto anche "…cumuli di rozze pietre (N.d.R. i trulli) coperte di licheni e rovi ( qualcuno), [N.d.R. Li scambiò per tombe romane]". I traesi sono descritti come "gente molto allegra"; inoltre, il viaggiatore si sofferma su alcuni usi e costumi locali: " E’ di regola non lavorare dopo colazione".   Tuttavia, si dilunga nella descrizione della situazione economica: "Oltre all’esportazione del grano, non sembra vi siano altre attività. Una provincia così ricca di materie prime potrebbe diventare rapidamente prospera, se il commercio vi fosse capito e incoraggiat Gli ortaggi qui sono squisitamente saporiti. I legumi di ogni tipo sono grandi e polposi.   L’uva ha un sapore piacevole e potrebbe produrre un liquore eccellente. E’ occupata da due floridi monasteri ". Swinburne non tanto gradisce lo stile della cattedrale di Trani, tuttavia, parlando del Monastero di Santa Chiara (l’attuale edificio scolastico "D’Annunzio"), lo definisce "sontuoso" e ne esalta le virtù degli "africani", i sacerdoti: "…nelle arti della pace, in molti rami della scienza".   Quando si incammina verso Bisceglie, Swinburne nota come: "… una strada molto impervia, consumata dalle ruote e dalla pioggia. – Ma non sono riuscito a scoprire una qualche traccia di una strada romana". Questo dimostra che il viaggio in Italia per i nobili – intellettuali inglesi del settecento era un’opportunità per verificare le modifiche del territorio alla luce delle testimonianze classiche. Il paesaggio tra Trani e Bisceglie è caratterizzato "dall’ombra degli alberi da frutta, di una misura e di un vigore di crescita, sconosciuti a latitudini più settentrionali. Gli ulivi di questa provincia non sono inferiori nel volume a quelli più grandi di Siviglia. Bisceglie è una città graziosa, situata nel mezzo dei frutteti e ville; le sue mura di pietra e molte alte ".   Poi, cerca di individuare alcune antiche costruzioni, senza alcun esito. Inoltre, riscontra la presenza di cisterne in una zona priva " …totalmente di sorgenti. Tre miglia in più sulla stessa squallida strada attraverso gli uliveti ed appezzamenti di vigne, ci portano a Molfetta".   Swinburne entrando nella città nota: " un sobborgo ben costruito, alte case antiquate e strette sporche, dodici mila abitanti, qualche commercio di mandorle ed olio. La signoria appartiene agli spagnoli". Dopo Molfetta, si reca a Giovinazzo, a Bari, a Polignano, a Monopoli. LA TARANTOLATA  Arrivato a Brindisi, si sofferma sulla descrizione della tarantolata, come Berkeley: " Riuscii a convincere una donna che era stata tempo addietro morsicata (N.d.R. da una tarantola). Dapprima, si mise a ciondolare stolidamente sulla sedia, mentre i suonatori eseguivano una melodia monotona e triste.   Dopo qualche tempo, essi trovarono finalmente il motivo capace di far vibrare le corde del cuore ed ella balzò in piedi con un urlo terrificante e prese a barcollare per la stanza come un ubriaco, stringendo un fazzoletto in entrambe le mani e sollevando ora l’una, ora l’altra a tempo di musica.   Come il ritmo divenne più vivace, i suoi movimenti si fecero più rapidi e cominciò a saltare con grande energia e varietà di passi, gettando ogni tanto altissime grida. Sono copie esatte delle baccanti".  SWINBURNE A TARANTO E A CORATO Dopo aver girato alcuni centri del brindisino e del tarantino, arriva a Taranto, dove visita la cattedrale, dedicata a San Cataldo, che si vuole nato a Canty in Irlanda nel Vi secolo.  Il Viaggiatore si rammarica delle manomissioni nella cappella del Santo. Dopo aver visitato altri centri, torna indietro visitando Bitonto e Ruvo.   La strada tra Ruvo e "Quarata" è una strada sassosa, con qualche melograno in fiore e lecci coperti da ghiande. Arrivato nei pressi di "Quarata", luogo della disfida tra i tredici cavalieri italiani e i tredici cavalieri francesi, si può vedere il monumento che celebra la vittoria. Abbandonata la strada romana (N.d.R. Parte della ex S.S. 98), Swinburne sale percorrendo delle strade pietrose verso il Castel del Monte "…di stile semplice e solido; le mura di circa tre metri e mezzo di spessore, sono di pietra rossastra e bianche.   Il grande portale di marmo, adornodi con intricassimi intagli di stile arabo; sulla balaustra della scalinata poggiano due enormi leoni di marmo dalle folte criniere scolpite con artistica rozzezza; nel cortile al centro dell’edificio v’è una vasca ottagonale con dimensioni sorprendenti". Il giudizio di Swinburne è di un osservatore esterno dal sistema socio – economico e,quindi, in un certo qual modo qualificato. L’analisi parte da un’attenta osservazione e conoscenza, anche dei fatti e degli eventi storici della nostra zona con una ricchezza di particolari,degna di uno storico e di un cultore dell’arte.   La società pugliese emerge con le sue contraddizioni, ricca di storia, di testimonianze, della ricchezza del patrimonio gastronomico e culturale in genere, ma poco consapevole delle proprie opportunità.   Con questi chiaroscuri, lo Swinburne si inserisce all’esterno e con la sua naturale curiosità ci può dare all’uomo contemporaneo un’istantanea di tre secoli fa.

Informazioni aggiuntive