Riflessioni sull'enciclica di Francesco: una lode sull'ecologia umana

Riflessioni sull'enciclica di Francesco: una lode all'ecologia umana

Una considerazione ma un invito concreto per tutti per passare dalle parole ai fatti.

Nel corso di questi anni nel campo ambientale si lamentava che la Chiesa contemporanea davanti al suo pensiero di rispetto e di tutela delle diversità e della bellezza per custodire l’ambiente e l’uomo spesso più vessati spesso se sono indifesi e poveri, si aspettava nel tempo una maggiore consapevolezza ed attività sociale. E’ difficile concentrare in poche parole il contenuto delle 184 pagine dell’enciclica “ecologica”, la più ampia ed estesa finora nella storia della Chiesa.

 

Chiamare “ecologica” l’enciclica “Laudato si’” è semplicemente un modo sintetico, perché Papa Francesco, partendo dalla bella poesia, capolavoro anche della letteratura italiana, con cui San Francesco, antesignano dell’ambientalismo e dell’ecologia pratica, ha ringraziato il Signore per il dono dei beni del Creato, tratta i principali temi principali del destino dell’uomo sulla Terra, di una corretta interrelazione tra uomo ed ambiente, tra comportamenti e stili di vita. La prima parte è rivolta ad una dettagliata riflessione delle violenze ambientali e della loro origine. Comincia con un elenco: l’inquinamento atmosferico dovuto ai fumi delle attività umane e alle trasformazioni della composizione dell’atmosfera che sono imputabili i mutamenti climatici, talvolta, sottovalutati. Dopo aver ricordato le conseguenze di tali mutamenti nell ’avanzata dei deserti, nel cambiamento del ciclo dell’acqua, nell’aumento delle tempeste tropicali, ne riconosce l’origine nell’ uso dei combustibili fossili che auspica siano sostituiti con fonti rinnovabili di energia, già presenti nel nostro sistema produttivo, che sicuramente andrebbero perfezionati e diffusi. E ‘ un disfacimento continuo con la violenza esercitata dalle attività umane nei confronti delle acque, bene essenziale per la vita umana e per la produzione di cibo, la cui disponibilità è compromessa da interventi invadenti sul territorio, da sprechi inopportuni, da eccessivi prelevamenti e dall’uso delle acque per sbarazzare i rifiuti. Le attività umane sviluppano quantità di scorie e rifiuti che contaminano i corpi naturali; l’enciclica riconosce molto realisticamente che queste e le altre fonti di degrado ambientale derivano dagli attuali modi di produzione e di consumo e che, se si vogliono evitare più gravi conseguenze, è in tale situazione che occorre intervenire, revisionando su percorsi innovativi e compatibili. I Paesi ricchi, con i loro stili di vita ed economici prevalentemente consumistici, sono in maggior misura responsabili delle varie alterazioni climatiche, ma sono i poveri che risentono maggiormente per la mancanza di produttività del suolo, per la distruzione delle foreste, per la privazione dei beni primari, per l’avanzamento delle megalopoli con il loro carico di aggressività, di ghettizzazione e da cui i poveri sono più deprivati ed emarginati. Le ineguaglianze planetarie, talvolta, alzano un grido della terra e un grido dei poveri, disuguaglianze che riguardano non soltanto le persone ma anche le nazioni: i ricchi del Nord del mondo, non esistano a portare via a quelli poveri le ricchezze minerarie, forestali, di prodotti agricoli, di terre coltivabili, che essi possiedono e non esitano a scaricare nei Paesi poveri per i rifiuti tossici e spesso morali, bagnando di sangue le vite di persone che, talvolta, fuggono cercando un Paese e un futuro migliore. Il Papa procede nel documento con considerazioni più teologiche; la Bibbia ricorda che all’uomo è stata consegnata la terra perché la lavorasse e la salvaguardasse, partendo dalla Genesi: il Papa lo ribadisce ininterrottamente; il Salmo 24 rammenta che la Terra è di Dio il quale ce l’ha consegnata come dono. All’uomo è stato dato anche la concessione della conoscenza che ha assentito nel tempo enormi e costanti evoluzioni tecnico-scientifici spesso usati, in modo scorretto, come strumenti di violenza verso le persone e la natura. Eppure tali conoscenze potrebbero, se impiegate con un approccio di solidarietà, potrebbero estinguere i principali problemi umani usando in modo sostenibile le risorse di ogni tipo presenti sulla Terra. Il Papa insiste nel ricordare che tutte queste risorse sono “beni comuni” ovvero di tutti, devono essere biodisponibili, una nozione che compie tanta fatica a trovare un vero ed autentico ascolto nella società e nella politica, dopo i diversi tentativi sistematici di privatizzazione, surrogato dal totem della proprietà privata che avalla tante forme di coercizione contro l’ambiente. L’enciclica prosegue individuando alcune possibili soluzioni per il futuro a cui l’enciclica riserva un grande impegno sviluppando responsabilità non solo verso il nostro prossimo, ma anche per le discendenze future. Il tema della solidarietà e giustizia intergenerazionale mostra una particolare importanza perché molte nostre azioni quotidiane, hanno effetti sull’ambiente e sulla vita di chi vive oggi, ma vivrà i prossimi anni, ma soprattutto nel futuro. Si consideri, per esempio, alla distruzione delle foreste che lascia il suolo esposto all’erosione, fonte di frane e alluvioni. I cambiamenti climatici, non ammessi dai negazionisti( lobbies, parambientalisti,politicanti asserviti,aspiranti greenwasher...)  , dovuti ai fumi sparsi oggi dalle nostre fabbriche, automobili e camini vari faranno avvertire le loro conseguenze in futuro; i rifiuti tossici occultati nel sottosuolo, dureranno per lungo tempo a emettere sostanze estremamente pericolose alla salute. I rifiuti prodotte dalle attività che generano armi di distruzione di massa e dalle centrali nucleari continueranno ad emettere radioattività per secoli e millenni. Il Papa ribadisce sulla centralità “dell’uomo” e invocare quella “ecologia umana” che dovrebbe indirizzare tutte le azioni economiche e politiche del futuro. La parte finale dell’enciclica è un appello vivo alla speranza. La risoluzione dei problemi ambientali e umani interroga atti, gesti concreti, impegni precisi, a iniziare dalla riduzione e conclusione dei tanti scontri che feriscono l’umanità, quella “terza guerra mondiale” diffusa nel mondo, di cui il Papa ha pronunciato anche spesso in diversi interventi pubblici. Va ripudiato l’eccessivo sperpero di risorse spesi nelle armi e di averi distrutti nei conflitti; questi beni, se usati a fini umani, compatibili, sostenibili ed equi permetterebbero la risoluzione dei problemi delle povertà. Pace, giustizia e solidarietà sono le soluzioni per poter stare e svilupparsi compatibilmente su questa Terra. L’enciclica si conclude rammentando che dobbiamo considerare il Creato come Giuseppe ha agito ed ha avuto dedizione di Maria e di Gesù, con saggezza, semplicità, fedeltà ed amore. L’enciclica si conclude con una bella preghiera in cui è racchiuso un “grido” della terra e dei poveri, che chiedono al Signore un regno di giustizia, di pace, di amore e di bellezza. Un desiderio, una speranza ed un’aspirazione necessaria anche per i non cristiani e i non credenti, per tutti gli cittadini di questo pianeta: abbiamo tutti questa missione.

 

 

 

ENCICLICA LAUDATO SI’ : GRAZIE PAPA FRANCESCO

Un contributo di padre Giulio Albanese *

 

Ho letto e riletto l’enciclica di papa Francesco LAUDATO SI’ e sono giunto a queste conclusioni. Siamo di fronte ad uno scritto magisteriale che rispetta fedelmente lo spirito del Concilio Vaticano II, interpretando i segni dei tempi alla luce della Parola di Dio. L’enciclica, prendendo lo spunto dall’invocazione di San Francesco d’Assisi, «Laudato si’, mi’ Signore», che nel Cantico delle creature ricorda che la terra, la nostra casa comune, mette in evidenza le questioni cruciali del nostro tempo, quali, ad esempio «l’intima relazione tra i poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare altri modi di intendere l’economia e il progresso; il valore proprio di ogni creatura; il senso umano dell’ecologia; la necessità di dibattiti sinceri e onesti; la grave responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita» (16). In questa prospettiva possiamo dire che Papa Francesco ha davvero la perspicacia e la lungimiranza di cogliere la sfida della complessità. Noi stessi «siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora» (2). Il termine complesso deriva dal latino “cum + plectere”, che significa letteralmente, “con intrecci”, sottintendendo l’estrema difficoltà nel comprendere la complessità dell’eco-sistema, senza scadere in banali semplificazioni. Per affrontare correttamente un fenomeno complesso, occorre conoscerlo nei dettagli, negli effetti, nelle cause e non solo come semplice analisi delle parti, perché il risultato finale non è la semplice somma delle componenti. Questo, in sostanza, significa, guardando ad esempio alla questione migratoria, che questa, se opportunamente valutata, non può prescindere dalle cause che la generano (guerre, sfruttamento delle risorse da parte delle multinazionali, inquinamento, povertà…) e dalle difficoltà sociali, politiche, legislative ed economiche dei Paesi di accoglienza. Tutti questi fattori, interagiscono tra loro, a volte rendendo la matassa estremamente intricata e difficile da dirimere. Per questi motivi occorre essere pensanti, operando un sano discernimento sulle questioni da affrontare, se vogliamo, come credenti, segnare la svolta, quella dell’agognato cambiamento. A questo proposito, papa Bergoglio dimostra di essere l’unico vero statista sulla scena internazionale. Infatti, attualmente – dispiace doverlo stigmatizzare – non vi sono sul palcoscenico della Storia, leader politici in grado di affermare di leggere i fatti e gli accadimenti del nostro tempo con questa apertura mentale. Ecco perché il nucleo della proposta dell’enciclica è l’ecologia integrale come nuovo paradigma di giustizia, un’ecologia «che integri il posto specifico che l’essere umano occupa in questo mondo e le sue relazioni con la realtà che lo circonda» (15). Infatti, non possiamo «considerare la natura come qualcosa separato da noi o come una mera cornice della nostra vita» (139). Questo vale per quanto viviamo nei diversi campi: nell’economia e nella politica, nelle diverse culture, in particolare in quelle più minacciate, e finanche in ogni momento della nostra vita quotidiana. Mi pare che vi sia, anche, un’altra considerazione da fare sulla profezia di questa enciclica. Papa Francesco ci dice, infatti, a chiare lettere, che le analisi da sole non possono bastare: ci vogliono proposte «di dialogo e di azione che coinvolgano sia ognuno di noi, sia la politica internazionale» (15), e «che ci aiutino ad uscire dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando» (163). Ogni anno vengono pubblicati rapporti scientifici, dossier internazionali e altri studi sullo stato del nostro pianeta, ma purtroppo le classi dirigenti, da meridione a settentrione, da oriente a occidente, fanno orecchie da mercante. Per papa Francesco è imprescindibile che la costruzione di cammini concreti non venga affrontata in modo ideologico, superficiale o riduzionista. Per questo è indispensabile il dialogo, termine presente nel titolo di ogni sezione di questo capitolo: «Ci sono discussioni, su questioni relative all’ambiente, nelle quali è difficile raggiungere un consenso. […] la Chiesa non pretende di definire le questioni scientifiche, né di sostituirsi alla politica, ma [io] invito ad un dibattito onesto e trasparente, perché le necessità particolari o le ideologie non ledano il bene comune» (188). L’ultimo capitolo è davvero avvincente. Esso va al cuore della conversione ecologica a cui l’enciclica invita. Le radici della crisi culturale agiscono in profondità e non è facile ridisegnare abitudini e comportamenti. L’educazione e la formazione restano sfide centrali: «ogni cambiamento ha bisogno di motivazioni e di un cammino educativo» (15); sono coinvolti tutti gli ambiti educativi, in primis «la scuola, la famiglia, i mezzi di comunicazione, la catechesi» (213). Una cosa è certa: papa Francesco invita, davvero, le nostre comunità cristiane ad essere meno intimiste o spiritualiste che dir si voglia. Dobbiamo confessare i nostri "peccati" contro il Creato, passando dai buoni propositi ai fatti, coniugando spirito e vita, soprattutto nei piani pastorali delle nostre diocesi, ma anche nel nostro modo di concepire la politica, l'economia, la vita sociale, il proprio modus vivendi. D'altronde, non dimentichiamolo, abbiamo tutti, ma davvero, tutti, come ci rammenta papa Bergoglio, una grande responsabilità rispetto al futuro delle giovani generazioni. Grazie papa Francesco!

 

*Padre Giulio Albanese (Roma, 12 marzo 1959) è un missionario e giornalista italiano, appartiene alla Congregazione dei Missionari Comboniani. Ha diretto il New People Media Centre di Nairobi e fondato nel 1997 la Missionary Service News Agency, ora divenuta Missionary International Service News Agency (MISNA). Attualmente collabora con varie testate giornalistiche per i temi legati all'Africa e al Sud del mondo tra cui Avvenire, Vita, Radio Vaticana e il Giornale Radio Rai. Dal febbraio del 2007 insegna "giornalismo missionario/giornalismo alternativo" presso la Pontificia Università Gregoriana (Pug) di Roma ed è direttore delle riviste missionarie delle Pontificie Opere Missionarie PP.OO.MM. - Missio Italia, Popoli e Missione e Il Ponte d'Oro. (fonte Wikipedia) L’Autore ci ha autorizzati nella pubblicazione.

 

 

 

Il continente dimenticato

Ha ragione Leonardo Boff. Nel sito Koinonia rileva opportunamente le influenze latinoamericane dell'approccio di papa Francesco nell'enciclica Laudato Si. Anzitutto i danni provocati da questo tipo di modello di sviluppo. L'Amazzonia e altre zone dell'America del Sud sono sullo sfondo. Ma è soprattutto con l'attenzione costante ai poveri, agli 'scarti' sociali che Francesco rimanda al cammino e all'esperienza ecclesiale latinoamericana. Da Medellin fino a l'Aparecida i 'volti' sono una presenza inevitabile nell'interpretazione del sentire della fede. Da allora la lista non ha fatto che alllungarsi e trovare nuove drammatiche declinazioni. I volti dei bambini marcati dalla povertà, abbandonati e sfruttati nelle città. I volti dei giovani, disorientati e senza futuro. I volti degli indigeni e degli afro-americani, poveri tra i poveri. I volti dei contadini, rifiutati dalla società e spesso senza terra. I volti degli operai, spesso mal pagati e con la difficoltà ad organizzarsi. I volti dei sotto-occupati e dei senza lavoro, vittime dell'implacabilità del sistema economico. I volti degli emarginati delle periferie e le bidonville delle città, con accanto l'ostentazione della ricchezza di altri. I volti degli anziani, esclusi perché improduttivi.I volti dei migranti e dei rifugiati, le vittime della violenza e della tratta, i sequestrati e gli scomparsi, i malati di AIDS e di altre malattie endemiche, coloro che sono droga-dipendenti e i giovani vittime della prostituzione e la pornografia, dei bambini lavorator, le donne violentate e gli esclusi dalla parola. Sono questi e altri i volti, i poveri, che Francesco porta con sè dal continente latinoamericano. E poi, con attenzione, Boff richiama pure la capacità, tutta latinoaamericana di mettere l'utopia e la poesia nel linguaggio politico ed ecclesiale. Non solo erudite citazioni ma anche la follia della poesia che rende la vita 's-guardabile' altrimenti e dunque trasformabile in 'casa comune'. Nella lettera, come ricorda Paolo Cacciari nell'articolo pubblicato su 'Comune-info' del 26 giugno, 'il cantico che non c'era', non si nomina il capitalismo. In realtà nel passato e più volte Francesco ha parlato, sulla scorta di Giovanni Paolo II, dell'imperialismo del denaro e dei rischi di un capitalismo assoluto, specie dopo la caduta del muro di Berlino nell'89. I vari papi hanno smentito,ognuno a modo loro, la dittatura di una parte del mondo, contestando la 'fine della storia' di Fukuyama. In effetti, nell’enciclica, sembra quasi si 'naturalizzi 'quanto accaduto. C'è il corpo del delitto ma non il mandante e meno ancora l'esecutore. I rischi di un generalismo etico ci sono, seppur moderati dall'invito all'impegno e ad una visione culturale integrale. Da questo punto di vista Francesco non potrebbe contraddire un'antropologia personalista. Pena la caduta in un relativismo etico incoerente e complice che la stessa ecologia conferma. I cambiamenti verranno solo dal basso, dai poveri. Là dove invece si nota un'assenza (ir)responsabile (almeno fino alla visita in Centrafrica e Uganda programmate per i prossimi mesi), è rispetto al continente africano. Il più povero e al contempo ricco di materie prime. Un'ecologia integrale avrebbe dovuto comprendere l'insieme del sistema -mondo globalizzato, tanto più che non mancano i documenti degli episcopati africani e i rapporti delle visite 'ad limina'. Una grave e significativa assenza. Un continente, nel suo insieme, ai margini eppure così al centro della riflessione ecologica. Vivo in una zona, il Sahel, dove il deserto avanza, di pari passo con la povertà. Dove le condizioni di sfruttamento delle materie prime, per esempio l'uranio nel Niger, il petrolio in Nigeria e la corsa all'oro dappertutto, hanno creato disastri che solo il passare del tempo renderà più evidenti. L'ecologia integrale ha appena sfiorato il tema delle migrazioni climatiche e dunque 'forzate' di cui si parla e 'sparla' in questi giorni. Per distrazione c'è un continente 'desaparecido', il suo nome è Africa.

mauro armanino, niamey, giugno 015

Informazioni aggiuntive