Piazza Di Vagno tra dubbi ed incertezze
- Dettagli
- Categoria principale: ROOT
- Pubblicato Venerdì, 13 Novembre 2015 12:11
- Visite: 1724
Piazza Di Vagno tra dubbi ed incertezze
L’amministrazione valuti con estrema attenzione questo provvedimento e la realizzazione dell’opera.
In quest’ultimo periodo la situazione urbanistica di piazza Di Vagno sta’ tenendo banco tra maggioranza ed opposizione, in un dibattito che crediamo si possa e debba sviluppare in un percorso partecipato. Sappiamo - da fonti storiche accreditate - dell’esistenza del prezioso palazzo Ducale ed anche della Chiesa del Monte di Pietà (da cui l'omonima via che porta alla chiesa di san Benedetto), della chiesa di San Nicola e del convento di San Francesco, abbattuto forse nel 1861.
Il circolo cittadino di Legambiente intende focalizzare l’attenzione sull’aspetto archeologico della progettazione dei lavori di piazza Di Vagno; in altre parole ci si chiede come mai pare manchi la “relazione archeologica” tra gli elaborati amministrativi del bando pubblicati sul sito del comune; né è dato sapere se tra i professionisti incaricati della progettazione è presente la figura di un archeologo. Si ritiene infatti che l’opera di riqualificazione di luoghi importanti, poiché “storici”, in cui è certa la presenza di testimonianze archeologiche, non possa “perdere di vista” la valutazione puntuale di tale aspetto. Per quanto si è potuto approfondire della specifica questione, il progetto in esame dovrebbe, in applicazione degli artt. 95 e 96 del D.lgs. n. 163/2006, essere stato inviato alla Sovrintendenza prima dell’approvazione, per l’esame del c.d. “rischio archeologico” e per porre la stessa Sovrintendenza nella possibilità di verificare l’opportunità di indagini preliminari; l’eventuale tardivo interpello della Sovrintendenza non sarebbe nemmeno esaustivo degli obblighi di legge, ed interverrebbe in una fase - dopo la progettazione definitiva e la consegna dei lavori - nella quale si sarebbe già realizzato proprio il risultato che la legge intende scongiurare, costituito dal fatto che la stazione appaltante ha intrapreso l’esecuzione di opere in una zona nella quale è alto (se non certo) il rischio che esse non possano essere eseguite nei modi in cui sono state affidate. La valutazione preventiva della Sovrintendenza sul progetto preliminare, pertanto, dovrebbe essere un obbligo generale per tutti i progetti di opere, e non è limitata alla preesistenza di un accertato vincolo archeologico sulla zona stessa; con gli articoli 95 e 96 del D.lgs. n. 163/2006 e con il citato codice dei beni ambientali e culturali, tali indagini “preventive” dovrebbero essere compiute su tutte le aree che presentino, per le loro peculiari caratteristiche, un interesse archeologico (anche potenziale), sia al fine di scongiurare il rischio di rinvenimento di reperti in corso d’opera, sia, nel caso in cui siano rinvenuti reperti rilevanti, al fine di addivenire all’imposizione del vincolo stesso (il citato codice prevedrebbe, appunto, che nei casi in cui, a seguito delle indagini preliminari, si accerti un interesse archeologico su specifici reperti o zone, siano di seguito attivati i poteri del Ministero dei beni Ambientali e Culturali ai fini dell’apposizione del relativo vincolo ai sensi degli artt. 12 e 13 del codice dei beni culturali e del paesaggio). La procedura di cui agli artt. 95 e 96 del D.lgs. n. 163/2006, se condotta in modo non solo rigoroso ma intelligente, è l’uovo di colombo che concilia le esigenze dello sviluppo territoriale e quelli della tutela. Infatti una buona relazione archeologica preliminare consente la stesura di prescrizioni chiare e circostanziate, fornisce gli elementi per degli approfondimenti diagnostici e quindi, a valle della procedura, permette di prevedere eventuali scavi estensivi adeguatamente progettati e forniti di un cronoprogramma e un quadro economico realistici. In sostanza essa fornisce, allo stato normativo attuale, la migliore “polizza assicurativa” contro il cosiddetto “rischio archeologico”, parola abusata ma che, nel mondo dei lavori pubblici, ha un significato abbastanza temibile che si traduce in questa ben nota sequenza: scoperta fortuita, fermo lavori, obbligo di scavi archeologici imprevisti, ricerca di fondi nelle pieghe del quadro economico, ritardi a catena e così via. Il “rischio archeologico”, potrebbe mettere a rischio, come spesso viene evidenziato dai media, i posti di lavoro, e tutto ciò avviene elemosinando scampoli di risorse che non consentono di fare una “archeologia efficace”: a fronte delle somme investite, piccole o grandi che siano, e dei disagi subiti, non viene restituito valore al territorio in termini di conoscenza del proprio passato e quindi finisce per essere un mero adempimento formale o un obolo per tener buono il Ministero. Ci poniamo, a questo punto, una serie di domande che giriamo pubblicamente all’Amministrazione. Nella Relazione Generale allegata al bando è scritto: “(…) Si tratta di un luogo che ha sempre avuto una funzione nodale nella vita cittadina, luogo di incontro, di scambio, di sosta e di passaggio. Dall’antica piazza del Popolo, al successivo identificarsi con la piazza del mercato ittico, fino ad oggi, (…)”;poi ancora: “(…) Il progetto esecutivo relativo alla realizzazione del fronte urbano, ha subito alcune modifiche nel febbraio 2013, a seguito di accordi presi con i privati confinanti, pertanto è stato inviato alla Soprintendenza ai Beni Architettonici di Bari per la ratifica definitiva. (…)”. Ci si chiede a questo punto: · come è stato valutato nel suo complesso il territorio interessato dai lavori, onde tracciare un credibile quadro di potenziale archeologico di questa parte nevralgica della città antica? · il progetto appaltato come risolve l’impatto delle nuove opere previste con la elevata probabilità di rinvenimento di reperti archeologici durante gli scavi? · quale è stato il parere della Soprintendenza circa la assenza della “relazione archeologica” tra gli elaborati ufficiali di gara, atteso che i progettisti (ma anche una buona parte della comunità cittadina) sono consapevoli dell’importanza storica di questi luoghi? · è stata prevista ed attuata la “fase delle indagini conoscitive” (da realizzarsi preliminarmente o contestualmente alla fase della progettazione definitiva, in modo da fornire idonei parametri di valutazione per eventuali revisioni progettuali e stima più attendibile dei costi dell’intervento)? · quali accordi (scritti?) sono stati presi con i privati confinanti in merito alla distanza della nuova costruzione (inferiore ai 3,00 m - art. 907 c.c.) dalle loro finestre? · il contratto di appalto sottoscritto dal comune di Corato con l’impresa cosa prevede in merito al probabile rinvenimento di strutture murarie interrate e/o altri reperti archeologici? · durante l’iter tecnico-amministrativo, in ossequio ai comuni principi di buona amministrazione ed alle più elementari regole di cautela e prudenza, ci si è posti tali problematiche, ovvero è stato valutato dal comune di Corato il rischio di stipulare un contratto di appalto e, quindi, di affidamento lavori, sulla base di un progetto che, in caso di ritrovamenti archeologici, potrebbe essere destinato ad essere consistentemente rivisto? Poiché dette opere interessano la parte più antica e preziosa della città e saranno realizzate con l’impiego di ingenti risorse economiche pubbliche, si ritiene che la cittadinanza abbia tutto il diritto di essere dettagliatamente informata, anche in un consiglio comunale monotematico, su tali delicate questioni che la riguardano. Pertanto, ciò detto, nell’interesse di tutti si ritiene necessario e doveroso che l’amministrazione comunale chiarisca pubblicamente se tutti gli adempimenti progettuali sono stati correttamente espletati, ovvero se vi è stata un’adeguata comunicazione alla Sovrintendenza in merito ai lavori di riqualificazione di piazza Di Vagno così come progettati ed appaltati. Sarebbe infine opportuno spiegare la “questione” della presenza (o meno) della figura dell’archeologo nel team dei progettisti. Si faccia chiarezza anche perché i più giovani non dimentichino che questo spazio urbano è intitolato a Giuseppe Di Vagno, avvocato, politico ed illustre meridionalista, colpito alle spalle da alcuni fascisti nel 1921, distintosi per essersi tenacemente battuto nel nome dei "pezzenti e diseredati" del Sud e per la realizzazione del bene della comunità, per i valori e i contenuti di stretta attualità, riuscendo ad ottenere dal Governo Giolitti l'avvio dei lavori per l'Acquedotto Pugliese.